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Fiorentina-Milan 1-1: partita viziata

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Fiorentina 0 Lecce 1: la crisi è definitivamente aperta in casa viola

Uno dei tanti insegnanti da cui ho avuto modo di imparare qualcosa, una volta mi raccontò di essere stato chiamato dai dirigenti di una squadra (non specifico lo sport) che aveva un rendimento inferiore a quelle che erano le aspettative. L’insegnante in questione non era un preparatore atletico o un motivatore, bensì uno psicologo sociale.

Lo psicologo sociale (secondo una definizione classica della letteratura) è uno studioso che si occupa di capire come i pensieri, i sentimenti e soprattutto i comportamenti individuali subiscono l’influenza della presenza di altre persone. Il suo interesse è rivolto non ai singoli in quanto tali, ma alle loro reazioni nel corso dell’interazione con gli altri.

Dunque questo mio insegnante si presenta al cospetto della squadra, effettua dei colloqui di gruppo, poi singolarmente; e sottopone ad ognuno di loro un semplice questionario, un sociogramma, che permette di misurare quelle che sono le relazioni al loro interno. Il risultato che ottiene lo induce a ripetere l’esperimento variando alcuni fattori. Quindi si presenta ai dirigenti della squadra per metterli al corrente della sua analisi, e di quella che, a suo giudizio, potrebbe essere la soluzione al loro problema.

Dalla rilevazione erano infatti emerse due evidenze: nella prima, una significativa distanza (in termini di apprezzamento, di volontà di condividere tempi e spazi, di giocare insieme) tra il miglior giocatore della squadra e il resto del gruppo: il primo mostrava insofferenza verso le più modeste performances degli altri, mentre gli altri si sentivano sia condizionati da lui e dal suo giudizio, che infastiditi dal miglior trattamento (anche economico) che gli veniva riservato da parte della società. Nella seconda somministrazione del questionario, il giocatore più forte era stato escluso, e il resto della squadra mostrava – non dovendo esprimersi nei suoi riguardi – una maggiore coesione di intenti.

Dunque l’insegnante propose ai dirigenti di allontanare il giocatore migliore per cercare così di stimolare il gruppo, cercando di convincerli che scommettere su un rendimento complessivo migliore contro le singole prodezze individuali del campione non era poi così azzardato. Ma i risultati del sociogramma non li convinsero: il professore venne congedato con una pacca sulla spalla e la squadra proseguì il suo rendimento altalenante, sino a quando, dopo circa un paio di mesi, la società fu costretta a cedere il suo miglior giocatore per esigenze di bilancio. E a quel punto, nell’incredulità generale, le cose cominciarono effettivamente ad andare meglio.

Il rendimento di un gruppo è positivo quando esprime qualcosa in più della somma dei singoli che lo compongono: altrimenti il divario tra le grandi e le piccole squadre – nel calcio come in altri sport – sarebbe imbarazzante. E ci sono anche moltissimi giocatori capaci di rendere al meglio solo in determinati contesti e non in altri. Insomma: la psicologia sociale, in questa dinamica, può dire, a ragione, la sua.

Ma tutto questo non significa che campioni e giocatori meno bravi siano incompatibili, anzi. Il problema della squadra analizzata dal professore era il modo in cui era stata gestita: un campione, al contrario, può essere di stimolo e insegnamento per gli altri, solo se ha l’umiltà di mettersi al servizio dei compagni ed ha attorno persone desiderose di imparare, meglio se giovani. Ecco perché Ribery potrebbe essere considerato un valore aggiunto per la Fiorentina; e perché Chiesa – in un futuro che è tutto da scrivere ma che ci auguriamo sia migliore del presente – rischi invece di non esserlo.

Circa la gestione del gruppo, la responsabilità in primis non può essere che dell’allenatore, talvolta della società che non lo mette in condizione di lavorare. Ma siccome è quest’ultima che paga lo stipendio, va da sé che il mister è il primo che rischia di saltare.

Per quanto riguarda la partita,  il Lecce e la Fiorentina hanno giocato entrambe  male e al piccolo trotto; sul filo di lana, anche con un po’ di buona sorte, hanno vinto i salentini. Tutto qui – e considerando che le persone pagano un biglietto per assistere ad uno spettacolo, mi vine da dire che i soldi all’occasione potevano essere spesi meglio.

Tanta confusione e soprattutto paura nelle file viola; su tutti e su tutto brilla la classe purissima di Castrovilli, le cui giocate valgono il biglietto; poi il buio. Montella insiste con un 5-3-2 dove Ribery è sempre più libero di inventare anche a costo di sbilanciare l’assetto tattico, lasciando Vlahovic da solo in mezzo alla difesa avversaria. Impressiona lo scarso dinamismo della squadra, quello che ha permesso a Cagliari e Verona di portare a casa il risultato a mani basse. E il rendimento di una rosa che, pur non completa, possiede un tasso tecnico elevato in almeno otto su undici titolari.

Mi preoccupano certi atteggiamenti: la scarsa intensità atletica, il fatto che nessuno di prenda la responsabilità di tirare in porta, certi episodi che mi sembra testimonino la scarsa coesione del gruppo (penso al fallo subito da Pezzella a Verona che non ha suscitato nei suoi compagni neppure un accenno di reazione nervosa). Il fatto che molti – anche giornalisti – individuino in Badelj il punto debole del controcampo, quando invece è uno dei pochi che cerca di giocare la palla, ed il vero problema è che non ci sono compagni che si smarcano per dettare il passaggio.

La panchina, per Montella, è sempre più in bilico; il suo score è probabilmente il peggiore di sempre nella storia della Fiorentina. Napoleone diceva “meglio i generali fortunati di quelli bravi”: ecco, sulla bravura si può discutere, ma fortunato Montella non lo è davvero.