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Hubert Auriol ritratto de “L’Africain”

La Dakar, nel corso della settima tappa, si è vestita a lutto invece di festeggiare. Hubert Auriol, la sua leggenda tra le più acclamate, si è spento dopo una lunga degenza in ospedale. Affetto da patologie cardiache, lo scorso novembre aveva contratto il Covid 19, finendo in terapia intensiva. Anche il suo cuore “sentimentale” si è danneggiato, apprendendo la notizia della scomparsa della moglie Caroline, morta il 3 dicembre in un incidente stradale.

In questo articolo tributo, Periodicodaily vi racconterà la leggenda di Auriol, delle sue imprese meccaniche e del suo amore per il continente africano.

Chi era Hubert Auriol?

Classe 1952, Hubert Auriol aveva in comune con l’altra leggenda della Dakar, Thierry Sabine, il “Mal d’Africa”. Per ragioni diverse: Thierry si era smarrito nel deserto nel 1976, una disavventura che ci tramutò nell’idea di organizzare il rally più famoso del mondo. Hubert, in Africa, ci era nato: era venuto al mondo ad Addis Abeba, dove visse prima di rientrare nella sua Francia.

Nel 1973 Auriol iniziò a gareggiare nell’enduro, nel campionato francese. Quando Sabine organizzò la prima edizione della Dakar, nel 1979, Auriol non ci pensò due volte a prendervi parte. Nelle moto dimostrò subito grandi capacità, a tal punto da divenire il pilota di punta della squadra BMW. Con la marca bavarese vinse le edizioni del 1981 e del 1983, battendo il compagno di team Gaston Rahier. Nel 1984 finì secondo, con Rahier vincitore.

Auriol diede lustro anche alla Cagiva. Con la squadra italiana Hubert corse a partire dal 1985. Dopo un anno di rodaggio, Auriol puntò dritto al successo nell’edizione in cui Sabine perse la vita in un incidente aereo. Una serie di problemi tecnico lo obbligarono al ritiro. Nel 1987 era saldamente in testa quando ebbe un incontro ravvicinato con dei cespugli che gli spezzarono le caviglie. Stoicamente, risalì in moto e rientrò al bivacco prima di fermarsi.

Il 1988 segnò il passaggio alle auto. Dopo l’esordio con un buggy monoposto, che combatteva la nostalgia dell’impresa solitaria, si abituò a correre con un navigatore. Nel 1990 guidò una Lada Samara, berlina russa la cui elaborazione per i rally fu affidata alla Oreca. Con essa si districò bene al Rally dei Faraoni, e giunse quinto alla Dakar del 1991. Per l’edizione 1992 passò alla Mistubishi, la quale gli affidò la Pajero Proto T3. In un’edizione particolare, con partenza a Parigi ed arrivo a Città del Capo, la casa nipponica fece tripletta. Auriol batté all’arrivo Erwin Weber e Kenjiro Shinozuka.

Nel 1993 passò alla Citroen, guidando per due anni le ZX Grand Raid. Con il 1994 chiuse la carriera di pilota, per assumere nell’anno successivo il ruolo di direttore sportivo. Lasciò l’incarico nel 2004.

La vita lontano dalla Dakar

Ossessionato dall’Africa, Hubert Auriol non accettò mai la decisione di lasciare il continente per il Sud America, nel 2009. Fu così che fondò un rally alternativo, l’Africa Eco Race. Il percorso di gara riprendeva i tracciato originali della vecchia Dakar, quelli dei tempi del leggendario Sabine. Auriol diresse la gara fino al 2014, prima di cedere il testimone a Jean Louis Schlesser.

Oltre alla Dakar, il roccioso e sempre sorridente Auriol amava volare. Ebbe così l’idea di stabilire il record di velocità per un aereo con propulsione ad elica. Nel 1987 lui, Patrick Fourticq, Arthur Powell ed il tre volte vincitore della 24 ore di Le Mans Henri Pescarolo s’imbarcarono su un Lockheed 18 Lodestart della seconda guerra Mondiale, facendo il giro del mondo in 88 ore e 49 minuti. Il record precedente era di Howard Hughes, che girò il globo in 91 ore e 14 minuti.

Nel corso degli ultimi anni, la salute del suo cuore peggiorò, fino al tragico epilogo di ieri. La redazione manda le più sincere condoglianze ai tre figli dell’illustre scomparso.