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Johnny Dumfries, quella stagione in Lotus al fianco di Senna

Johnny Dumfries è un nome sconosciuto ai più, ad eccezione forse dei fan della Lotus. Tuttavia, ebbe in un certo senso il suo “quarto d’ora di gloria”, per dirla alla Andy Warhol, quando arrivò in F1 con il Team Lotus, fianco a fianco con un certo Ayrton Senna. Non fu una stagione entusiasmante per lui, al punto che fu l’unica che disputò nella massima formula. In occasione della sua morte, avvenuta due giorni fa a causa di un male incurabile, ripercorriamo le tappe salienti del suo “mordi e fuggi” nella massima categoria, datato 1986. Prima, però, qualche nota biografica.

Chi era Johnny Dumfries, prima di approdare in Lotus?

Dumfries era uno scozzese dalle origini nobiliari. Il suo nome completo era John Colum Crichton-Stuart, settimo marchese di Bute (titolo che acquisì dopo aver appeso il casco al chiodo) e conte di Dumfries. Dalla sua residenza familiare di Mount Stuart sull’isola di Bute, questo nobile con una discendenza diretta di un ex Primo Ministro britannico scelse la via delle corse. Nella tostissima F3 britannica Dumfries si dimostrò un fenomeno, dominando il campionato nel 1984. L’anno successivo fece qualche gara in F3000, raccogliendo appena tre punti, e mise piede alla Ferrari come tester per sviluppare il progetto mai nato del quattro cilindri turbo. Poi, venne la chiamata di Peter Warr, allora team manager della Lotus, che gli offrì un posto per affiancare Senna. Johnny non resistette alla tentazione, e accettò. Ma le cose non erano come se le aspettava.

Il tappabuchi

Infatti, quel posto in Lotus era riservato a Derek Warwick, dietro le insistenze dello sponsor JPS che voleva un pilota britannico. Ma Senna fece intendere che era lui il numero uno, e che non avrebbe accettato una seconda “prima guida”. Così presero Dumfries, il quale si rese conto fin dall’inizio di essere un ripiego.


Ayrton Senna, un pezzo di Bologna in suo onore


Ciononostante, l’inizio del 1986 con la Lotus Renault fu buono. In Brasile fece il quarto giro più veloce, e mostrò un passo che lo avrebbe portato in zona punti. Purtroppo, una sosta non prevista lo relegò al nono posto, ma il potenziale c’era. Ma con il ritorno in Europa, tutto cominciò ad andare a rotoli: a Monaco si schiantò in prova, senza possibilità di risalita. Ma il problema più grosso era tecnico, con un V6 Renault che beveva come un cammello ed un cambio sperimentale a sei marce che si rompeva. Proprio a John toccava il lavoro di sviluppo di quella maledetta trasmissione, lasciando a Senna l’onore di raccogliere i piazzamenti migliori (il brasiliano in quell’anno siglò otto pole position e vinse due GP).

Le soddisfazioni migliori vennero in Ungheria e in Australia, le uniche gare in cui raggiunse la zona punti. All’Hungaroring, all’epoca appena inaugurato, lo scozzese concluse al quinto posto, ma avrebbe potuto fare meglio se non fosse stato per un calo fisico dovuto alla tortuosità della pista ed al gran caldo. In Australia, ultima gara della stagione, concluse sesto nonostante un testacoda causata dall’olio sparso da Alan Jones. Regalò agli spettatori da casa il brivido di uno dei primi on board della storia, ma lui non si divertì affatto quella volta. Già da qualche mese, sentiva puzza di cadavere, ed il “cadavere” era proprio lui. Con l’acquisizione dei motori Honda, la Lotus aveva confermato Senna, ed aveva obbedito al diktat di assumere un pilota giapponese. Non c’era posto per Johnny nella squadra, e se ne andò dal circus in punta di piedi.

La carriera di Johnny Dumfries dopo la Lotus

Rimasto senza un volante in F1, Dumfries si dedicò alle corse di durata, dove raccolse grandi soddisfazioni. Nel 1988 entrò a far parte dello squadrone Jaguar, vincendo la 24 ore di Le Mans con Jan Lammers e Andy Wallace. Proseguì alla Sarthe fino al 1991, legandosi soprattutto al team giapponese Tom’s e alla Toyota. Si ritirò nel 1993, per ereditare il titolo di marchese e per gestire gli affari di famiglia. Nel 2005 fondò insieme ad altri soci il Mount Stuart Trust, società che organizza visite guidate nella tenuta omonima. nell’ultimo anno ha dovuto affrontare la malattia fino a due giorni fa, quando si è spento all’età di 62 anni. Sposato due volte, ha avuto quattro figli.