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La IndyCar e la sfida dell’Aeroscreen

Con l’inizio del 2020, la IndyCar series è entrata nell’era dell’Aeroscreen. Dopo il debutto in pista sull’ovale del Texas, il nuovo dispositivo di sicurezza ha dato la sua prima prova, impressionando in maniera positiva. Non sono mancate le sfide di questo che potremmo definire un cambiamento epocale per la categoria.

IndyCar, che cos’è l’Aeroscreen

Il concetto nasce a Milton Keynes, dove la Red Bull Advanced Technologies stava sviluppando un impianto di protezione dell’abitacolo che fosse alternativo all’Halo. Nel 2016 il team anglo-austriaco fece un test per conto della Federazione Internazionale, allo scopo di valutarne un eventuale introduzione in Formula 1. Alla fine, la FIA bocciò la soluzione, sostenendo che non fosse sufficientemente sicura. Nella versione originale, l’Aeroscreen era un pannello di plexiglass irrobustito ed esteso, costruito come parte integrante del telaio anziché come accessorio da imbullonare a posteriori.

Il test venne svolto durante le prove libere del GP di Russia.

Nel frattempo, team e piloti della IndyCar invocavano a gran voce d’introdurre una maggiore protezione per i cockpit, problema che nella categoria è molto sentito.La Red Bull propose il suo sistema, riveduto e corretto. Dopo una serie di test tra il 2018 ed il 2019, l’Aeroscreen è diventato realtà.

Dal punto di vista strutturale, l’Aeroscreen della IndyCar è molto diverso dal prototipo originale. Di fatto è un Halo con un parabrezza intorno. La struttura “ad Y” tipica del device della F1 è fatto in titanio, ed è parte strutturale della monoscocca. Il parabrezza, invece, è di tipo speciale “a prova di proiettile”, realizzato dalla PPG. Lo scopo è di proteggere la testa del pilota non solo dai pezzi più grandi, ma anche dai piccoli detriti. Si tratta di un problema frequente nella categoria, specie sugli ovali.

Le sfide ingegneristiche

Il passaggio all’Aeroscreen non è stato indolore per i team della IndyCar. La sua installazione sulle Dallara DW12 ha comportato modifiche sostanziali al bilanciamento della monoposto. Una bella gatta da pelare per gli ingegneri!

Prima della gara del 6 giugno, la IndyCar ha disputato due giorni di test al COTA, alcune sessioni private a Sebring ed una sull’ovale del Texas. In queste prove è emerso che il nuovo pacchetto presenta un minore carico aerodinamico, ed un aumento della resistenza all’avanzamento. Le vetture quindi dovrebbero essere più lente nei tempi sul giro.

Ma il vero problema sta nel peso. L’Aeroscreen segna sulla bilancia ben 30 Kg, gravanti sull’asse anteriore. Questo si traduce in un’alterazione della distribuzione delle masse, che grava di un 0,8% in più sull’asse anteriore. Può sembrare un’inezia, ma su una macchina che pesa 850 Kg, con un telaio ed un’aerodinamica molto affinati, due Kg in più o in meno fanno una colossale differenza.

Il risultato a livello dinamico è un maggiore sottosterzo, unito ad un aumento dei trasferimenti di carico in frenata. E maggior lavoro per le gomme anteriori.

Le sfide sportive

Il sottosterzo è stato risolto nei test, attraverso un lavoro lungo e paziente di messa a punto. Per l’usura delle coperture, invece, si è potuto fare ben poco. Nella gara del 6 giugno, i piloti hanno dovuto affrontare questo problema, complice la scelta della Firestone di portare gli stessi pneumatici del 2019. In Texas, le gomme non duravano più di 35 giri.

C’è un altro problema che l’Aeroscreen ha creato: il caldo. Nel mese di giugno, in Texas, le temperature possono essere davvero alte, e gli abitacoli delle monoposto possono diventare peggio di una sauna. Per la sua natura, l’Aeroscreen non permette una ventilazione ideale.

La visibilità non è affatto un problema!

Per risolvere questa grana, la IndyCar ha imposto l’uso della Koolbox, un impianto di aerazione per i caschi identico a quello usato nella NASCAR. L’impianto, dotato anche di filtri per catturare polvere e sostanze nocive, ha funzionato alla grande.

Altre sfide aspettano i piloti nelle prossime gare. Le infiltrazioni d’acqua apparse al COTA potrebbero ripresentarsi nelle gare bagnate, anche se sembra essere stato risolto. E c’è ancora molto da fare per assetti e usura degli pneumatici.

Un’altra sfida per l’Aeroscreen e la IndyCar

Ricapitolando, l’Aeroscreen funziona a livello di sicurezza. Ha dato qualche noia a livello di assetti, ma nel corso del tempo team e piloti troveranno il bandolo della matassa. E la calura è stata messa a bada da una soluzione già collaudata.

C’è però un’altra sfida da affrontare. Diciamolo subito: l’Aeroscreen è brutto. E per una serie che deve attirare di nuovo i fan non è l’ideale. Ci vorrà del tempo prima che il pubblico si abitui all’estetica. Se la IndyCar manterrà lo show che l’ha resa celebre, il problema dell’aspetto sarà secondario.