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La legacy del team di Ganassi nella NASCAR

Con l’annuncio della vendita al Trackhouse Racing, Chip Ganassi chiude la sua epoca nella NASCAR. Il team owner ha fatto parte della storia della massima serie americana per un ventennio, diventando subito un contender per le posizioni che contano, ma raccogliendo forse meno di quanto avrebbe potuto. In questo breve articolo, riepilogheremo per sommi capi la storia della formazione nel campionato delle stock car, come una sorta di tributo ad un nome che ha lasciato comunque il segno nel campionato che si appresta a lasciare. Il nome di Ganassi resterà comunque coinvolto nelle corse, con i programmi IndyCar, IMSA ed Extreme E confermati.


Chip Ganassi vende il suo team NASCAR


Qual è la storia di Ganassi nella NASCAR?

Chip Ganassi ha un passato da pilota. Negli anni 80 bazzicava gli ambienti della IndyCar, contando ben cinque presenze alla Indianapolis 500. Nel 1987 corse la 24 ore di Le Mans, con una Sauber Mercedes ed il compianto Johnny Dumfries come compagno di squadra. Nel 1989 appese il casco al chiodo, diventando socio di Pat Patrick nella gestione del suo team IndyCar. In quell’anno vinsero il titolo con Emerson Fittipaldi e le Penske Chevrolet. Al ritiro di Patrick, Chip rilevò l’intera struttura, dando origine al Chip Ganassi Racing. Nella serie delle monoposto, la scuderia ha macinato successi a ripetizione: 13 titoli (uno con Jimmy Vasser, due con Alex Zanardi, uno con Juan Pablo Montoya, quattro con Dario Franchitti e sei con Scott Dixon) e 117 vittorie sono un bottino niente male. Di questi successi quattro sono alla 500 miglia di Indianapolis: Franchitti conta due vittorie, Dixon e Montoya una ciascuno. E la NASCAR? come è cominciata la storia?

Da un incontro fortuito all’Olimpo

La storia del team nella NASCAR ebbe inizio con l’incontro con Felix Sabates, imprenditore della Florida di origine cubana. Sabates possedeva il SABCO Racing, formazione di media fascia che già contava qualche vittoria con Kyle Petty. Nel 2001 Chip acquistò l’80% del pacchetto azionario, entrando definitivamente nel giro. Per il 2002 i nuovi soci puntarono in alto. Schierarono due Dodge per due vecchie volpi come Jimmy Spencer e Sterling Marlin, sperando di fare subito risultato. Ma il colpaccio vero lo fecero con un giovane debuttante allo sbaraglio. Un infortunio obbligò Marlin a rinunciare alla Charlotte 600, così Chip lo sostituì con l’esordiente totale Jamie McMurray. Che vinse a sorpresa la gara, lasciando tutti di stucco. Dalla IndyCar Ganassi aveva importato in NASCAR il coraggio delle scelte azzardate, anche se non sempre pagavano.

Quegli azzardi non riusciti

Ed infatti, operazioni come Montoya e Franchitti non risultarono vincenti. Juancho, fresco di licenziamento alla McLaren in F1, chiese ed ottenne una chance, ma dopo otto stagioni di fallimenti le strade si divisero. Lo scozzese, reduce da gloria infinita nella IndyCar, accettò la sfida senza sapere a cosa stesse andando incontro. Il risultato furono incidenti, mancate qualifiche ed una brutta frattura a Talladega, che lo spinsero a rinunciare a proseguire la stagione. Era il 2008, l’anno della crisi economica e della necessità di sopravvivere. Quella sopravvivenza che spinse Ganassi a fondere la sua realtà con la moribonda Dale Earnhardt Inc., senza però beneficiare della sua esperienza. Le uniche soddisfazioni vennero da vittorie prestigiose, come la Daytona 500 del 2010, la Charlotte 600 e la Brickyard 400 dello stesso anno, tutte ad opera di McMurray. Con un’altra mossa a sorpresa, Ganassi licenziò in tronco Montoya nel 2013, per metterci un giovane di grandissimo talento, Kyle Larson. Il californiano portò subito benefici alla squadra, ma mancava la consistenza. Poi, una parolaccia spinse Ganassi a mettere il suo pupillo fuori dalla porta, puntando su un altro pupillo come Ross Chastain. A proposito di giovani, Ganassi non è mai stato in grado di produrre un vivaio efficace. Talenti come Sorenson e Kwasniewski furono sprecati, spesso per lasciare posto a piloti non proprio in gamba come Casey Mears. Larson è stato, finché è durata, l’eccezione che conferma la regola.


Dalla squalifica alla vittoria: la redenzione di Kyle Larson


Le ragioni dell’addio di Ganassi alla NASCAR

Con la vendita al Trackhouse Racing, tutti si sono domandati perché Ganassi abbia deciso di lasciare. Chip ha ribadito che il team non era in vendita, ma si è lasciato convincere dalla buona offerta di Justin Marks. Forse, è una questione di risultati: quando è arrivato nell’ambiente, Ganassi veniva da anni di successi in IndyCar, dove sembrava avesse il tocco magico per cui anche le scelte più pazze funzionavano. Nelle ruote coperte le cose non sono altrettanto bene, perché il livello era nettamente più alto, e si trovava a combattere con formazioni come Hendrick e Gibbs che erano lì da una vita. 14 vittorie nella Cup Series e 20 nella XFinity sono un bottino troppo magro per giustificare un investimento cospicuo, specie se dall’altra parte le cose continuano ad andare bene. Di qui la scelta di “abbassare i giri motore“, come ha detto lui stesso nella conferenza stampa. Tra le altre cose, l’ultima vittoria nella XFinity è datata 2016, in una bagnatissima gara di Mid Ohio. Il pilota in quella occasione fu lo stesso Justin Marks che, cinque anni dopo, è diventato il nuovo padrone di quella squadra. È la legge dei corsi e dei ricorsi che, a quanto pare, funziona anche nel veloce mondo delle quattro ruote americane.