A dispetto del fatto di essere un monomarca Dallara, la IndyCar Series da molte opportunità di fare ricerca tecnica, indispensabile per quei team che puntano a fare la differenza. Le limitazioni regolamentari non impediscono di lavorare di fino, di fare quegli sviluppi che consentono di migliorare le prestazioni e vincere le gare. Andiamo a scoprire nel dettaglio come funziona l’evoluzione nella categoria, e quali sono le aree in cui si lavora maggiormente.
Tecnica IndyCar: dove fanno sviluppo i team?
L’area su cui le squadre IndyCar lavorano moltissimo è quella delle sospensioni. In particolare, i tecnici dei team si concentrano sugli ammortizzatori, la cui funzione va ben oltre quella che tutti noi pensiamo. Quando una ruota prende una buca, o sale su un cordolo, la molla si schiaccia (compressione), per effetto del sollevamento da terra della ruota stessa. Quando la ruota torna sull’asfalto, la molla tende a ritornare nella sua posizione originale (estensione), ma per effetto della sua elasticità tende ad oscillare. L’ammortizzatore “ferma” la molla, ripristinando l’assetto neutro. Dalla capacità di quest’ultimo di riportare questo assetto alla forma ottimale dipendono l’impronta a terra della gomma e l’efficienza aerodinamica, perché quest’ultima influenza l’altezza da terra che per l’effetto suolo deve essere il più stabile possibile. Detto in parole spicciole: un set di ammortizzatori di buona qualità, con un setting fatto come si deve, permette di avere più grip, di abbassare i tempi sul giro e di consumare meno le coperture. Negli ultimi anni il lavoro in questo comparto si è estremizzato: è ormai di uso comune il “terzo elemento”, soluzione mutuata dalla Formula 1. Si tratta di un ammortizzatore supplementare, montato in posizione orizzontale, che smorza ulteriormente le vibrazioni. Ogni team IndyCar ha almeno un tecnico specifico per questo ambito, a volte anche più di uno, tra cui uno specialista degli elementi ammortizzanti.
F1 e IndyCar: così diverse, così uguali
Lo sviluppo aerodinamico
In IndyCar l’aerodinamica non può essere toccata. Il kit di ali per stradali e ovali è prodotto dalla Dallara, che lo fornisce ai team. Tuttavia, nulla vieta di raccogliere dati in questo ambito, dato che il regolamento non pone vincoli alle ore da passare in galleria del vento. I n queste strutture le squadre simulano l’effetto dell’aria sulle vetture in condizioni di gara, raccogliendo dati importanti per la messa a punto. Il kit Dallara comprende molti “accessori” complementari alle ali, come gurney, flap, carene e altro. Questi elementi possono essere montati e smontati in base alle esigenze della pista ed alle richieste del pilota. Con le limitazioni dei test sui circuiti, le scuderie sfruttano la galleria del vento per misurare i flussi aerodinamici, e stabilire quale configurazione è la migliore. Questo vale soprattutto per la Indianapolis 500, sul cui tracciato non è mai possibile provare in privato. Si stima che il 60% del tempo trascorso qui serva a preparare Indy. L’unico limite all’uso della galleria del vento è quello economico: le strutture che hanno un tunnel per auto a grandezza naturale sono poche, ed i team evitano di raggiungere per una questione di costi e di logistica. Honda e Chevrolet dispongono di strutture adeguate, e mettono a disposizioni i dati delle loro misurazioni. Questo spiega il livellamento delle prestazioni nella IndyCar di oggi, con le scuderie piccole che spesso fanno le scarpe alle formazioni più grandi.