Jane Couch è la prima donna britannica a raggiungere il diritto di combattere tra i professionisti. Il suo è stato un percorso lungo e tortuoso, tanto che oggi si chiede se ne sia valsa la pena, se il risultato ottenuto abbia avuto un costo troppo elevato.
Non stiamo parlando di ieri, ma di circa 20 anni fa. Quando la Couch vinse una battaglia contro la British Boxing Board of Control, guadagnando per le donne il diritto a boxare come professioniste. Era il 1998. E negli anni successivi essere una “pioniera” si accompagnava alla lotta per conseguire il pieno riconoscimento che sarebbe derivato solo con la piena accettazione anche dei colleghi uomini.
Lei stessa ha dichiarato: “Se qualcuno mi avesse preceduto, sarebbe stato molto più semplice. Ma poi, siamo tutti qui per uno scopo e penso che sia stato il mio destino quello di dover lottare per 20 anni”. Nella sua carriera, durata 14 anni, ha vinto 5 volte il titolo mondiale e 28 combattimenti su 39 effettuati. Ha scelto di non salire più sul ring nel 2008.
Quando ha iniziato Jane Couch in Gran Bretagna era illegale combattere professionalmente. La Federazione sosteneva che gli ormoni femminili avessero l’effetto di rendere le atlete troppo emotive per combattere. Così fu costretta ad allenarsi in segreto e combattere all’estero.
Una battaglia legale basata in gran parte sulla discriminazione sessuale, fu così Dinah Rose, avvocato specializzato in cause sulla discriminazione, a volerla difendere a titolo gratuito. Tanto era convinta che avrebbero vinto. Così fu ma non si connotava come la vittoria definitiva. L’ambiente del pugilato continuava comunque a non desiderare che ci fossero donne all’interno del movimento. I grandi impresari si rifiutavano di inserirla nelle kermesse che generavano spettacolo affermando che le donne in lotta erano “assolutamente disgustose” e “le uniche rappresentanti del gentil sesso nelle mie serate sarebbero state solo ragazze molto carine”.
Ma i torti subiti non erano solo quelli all’interno del circo della boxe. Anche i media non si sono spesi in belle parole, appellandola anzi con orribili nomignoli sia sulla stampa che alla radio o alla televisione. Oggi Jane ha 51 anni e ha tagliato tutti i ponti con il mondo della boxe, dopo aver avuto anche un esaurimento subito dopo essersi ritirata. Nessuno dei suoi amici nel pugilato ha più nulla a che fare con lei, non vede nessuno, nessuno la chiama, nessuno le parla. Eppure – si rammarica – per loro, che considerava la sua famiglia, ha trascurato i suoi veri affetti: la mamma, il papà, i suoi nipoti.
All’età di 25 anni vide un documentario del pugile irlandese Deidre Gogarty e decise che quello era ciò che voleva fare. Tanto fece, che riuscì a farsi accettare da un club locale di pugilato tutto maschile che accettò di lasciarla allenare con loro. Combattè il suo primo incontro amatoriale contro una poliziotta, mettendola al tappeto in due round.
Un famoso allenatore la convinse a traferirsi dalla sua città per seguirlo ed iniziare ad allenarsi in una palestra creata all’interno di una fattoria. Preparò un incontro di 10 riprese allenandosi 3 volte al giorno per tre mesi. Si trovava in mezzo al nulla, senza macchina, senza soldi. Faceva le stesse cose ogni giorno. Ricorda: “Ci sono state settimane in cui non ho mangiato per giorni e non potevo permettermi assorbenti igienici“.
Combatteva in una categoria che la costringeva a mantenere il peso inferiore ai 63,5 kg. Quindi era costretta a limitarsi anche quando aveva molta fame. Solo 24 ore prima del combattimento poteva mangiare quello che voleva.
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Probabilmente non si sentiva felice, ma ormai era diventata un’ossessione, una specie di droga che non le consentiva di allontanarsi dalle persone che pure la trattavano male. Le stesse che una volta smesso le hanno voltato del tutto le spalle.
Oggi ha una nuova vita, un compagno, un lavoro. E ha scritto un libro sulla sua storia ” The Final Round”, in cui ha raccontato come la vita da pugile professionista sia diversa da quella in qualsiasi altro sport che si possa immaginare. Molti dei suoi ex compagni di sport ora sono in prigione, alcolisti, senzatetto o tossicodipendenti. Secondo Jane Couch sono il prodotto del sistema boxe che ha preso molto anche a lei senza però riuscire a sopraffarla. Oggi, con dolore, ricorda il prezzo pagato per aver seguito un desiderio ed inseguito un sogno.
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