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La Formula 1 e gli USA: un rapporto di amore e odio

Con il recente annuncio del GP di Miami, la Formula 1 torna a disputare ben due GP negli USA. Non capitava dal 1984, da quando il circus adottava la curiosa denominazione di GP USA West. Il rapporto con gli americani non è sempre stato facile, essendo che sono abituati a tutt’altro spettacolo motoristico. Ma per la categoria è sempre stato un cruccio quello di far breccia nei loro cuori, ancora di più sotto la gestione “made in USA” di Liberty Media. Rimettiamo indietro le lancette dell’orologio, andando ad esaminare i precedenti tentativi di farsi amare da un pubblico esigente.


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Quali sono i precedenti della Formula 1 negli USA?

Dal 1950 al 1960, la 500 miglia di Indianapolis faceva parte del calendario iridato. Ma siccome era concomitante con il GP di Montecarlo, nessun pilota del mondiale vi correva. Il primo, vero GP degli Stati Uniti risale al 1959, sul tracciato di Sebring che ospita la 12 ore. Il vincitore fu Bruce McLaren, nella corsa che consegnò a Sir Jack Brabham il suo primo titolo. Nel 1960, Sebring lasciò il posto a Riverside, circuito californiano oggi non più esistente. Dal 1961 al 1980, Watkins Glen divenne la casa della gara statunitense. Sul tracciato alle porte di New York, veloce e pericoloso, si consumarono grandi imprese e anche tragedie. Qui morì nel 1973 François Cevert, cosa che spinse Jackie Stewart al ritiro e alla decisione di fondare il sindacato dei piloti, la GPDA.

Al Glen subentrò Detroit, a partire dal 1981. L’angusto cittadino della Motown, dalla pittoresca scenografia fatta di tunnel e grattacieli. Dal 1989 si passò a Phoenix, attivo per soli tre anni. Dal 1992 ci fu una lunga lontananza del circo dagli States fino al ritorno di fiamma del 2000. Tony George volle portare le monoposto europee a Indianapolis, a tal punto da investire milioni di dollari per uno stradale ricavato all’interno dell’infield. Dopo un inizio promettente, nel 2005 arrivò la mazzata, dove problemi alle gomme Michelin ridusse il GP ad una farsa con sole sei vetture. La casa francese rimborsò i biglietti con tante scuse, ma il danno era fatto. Indy sopravvisse fino al 2007, per poi uscire di scena. Dal 2012 il GP degli Stati Uniti ha trovato casa al Circuit of The Americas, un tracciato nato appositamente. La gara esiste tutt’oggi, con una buona affluenza di pubblico e molto interesse. Il circus spera che il lavoro d’immagine fatto da Liberty Media possa attirare gli americani il più possibile, entrando così come potenza in un mercato difficile.


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I tentativi di raddoppio

Negli anni 70, la F1 cresceva sempre più, e aumentava l’interesse per il mercato americano. Di qui la scelta di correre due GP anziché uno, magari in una location suggestiva. Tra il 1976 ed il 1984 si corse il GP USA West, su due tracciati differenti. Il primo fu Long Beach, il circuito che costeggia la spiaggia a sud di Los Angeles. L’idea degli organizzatori era quella di creare una sorta di “Monaco d’America”, una gara che facesse concorrenza al Principato. L’evento ebbe successo, ma non riuscì mai a rubare il prestigio alla rivale monegasca. L’ultima edizione è del 1983, dopodiché si passa al cittadino di Bayfront Park, al centro di Dallas. La gara fu più di sopravvivenza che di velocità, dato che ebbero la brillante idea di disputarla a giugno, con 50 gradi all’ombra! La gara viene ricordata per la scena di Nigel Mansell, che spinse la sua Lotus ferma fino al traguardo per poi svenire.

Tra il 1981 ed il 1982, l’ossessione della formula 1 per gli USA raggiunse l’apice, organizzando ben tre gare in una stagione! Per il terzo appuntamento si scelse Las Vegas, e una location assurda. Il circuito infatti era ricavato dal parcheggio del Ceasar Palace, il più grande casino della città! In entrambe le occasioni il GP di Las Vegas decise le sorti del mondiale. Nell’81, Nelson Piquet batté Carlos Reutemann, in preda alle sue crisi esistenziali. L’anno dopo Keke Rosberg conquistò il campionato giungendo quinto, al termine di una gara dominata in lungo e in largo dal compianto Michele Alboreto.


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Immagine in evidenza di Red Bull Content Pool, per gentile concessione