Siamo sempre più spesso spettatori di fenomeni che coinvolgono categorie per le quali da sempre si pensa che certe cose possano accadere ma che si tende a tenere nascoste. Chi può dire di non aver mai pensato di qualche personaggio famoso, alle modalità di assunzione o di carriera. E purtroppo, cadendo spesso nei luoghi comuni senza soffermarsi sul fatto che “certe pratiche” sono spesso subite piuttosto che provocate. Si chiama #MeToo il movimento nato per difendere, soprattutto le donne, dalle molestie sessuali e dalla violenza che spesso subiscono sul posto di lavoro. Insomma quella pratica, venuta alla luce con il caso Weinstein nel mondo del cinema, secondo la quale per lavorare era necessario, se non indispensabile, sottostare a pratiche sessuali anche contro la propria volontà.
Uno scandalo che ha coinvolto attrici ma che ben presto ha riunito sotto l’hashtag ormai noto di #MeToo una serie di altre categorie, anche quelle che quotidianamente non sono sotto i riflettori o attenzionate dai media. Un altro settore in cui le donne hanno però fatto fatica ad emergere è senza dubbio lo sport. Quante conduttrici radiotelevisive o giornaliste possiamo ricordare a memoria alla conduzione di una trasmissione sportiva o croniste di un evento a cui veniva riconosciuto il ruolo sulla base di conoscenze e professionalità? E non solo perchè rappresentati di quella bellezza italica che spesso accompagnava, come figura di contorno, conduttori uomini?
#MeToo documentario in Francia
Di recente, a sollevare il caso di molestie subite da giornaliste sportive è stato in Francia Canal+, realizzando un documentario sull’argomento di inequivocabile comprensione “Je ne suis pas une salope, je suis une journaliste“. Secondo quanto riportato dagli organi di stampa locali, le polemiche si sarebbero sollevate quando il documentario è andato in onda “tagliato” della parte in cui si facevano espliciti riferimenti ad un conduttore “molestatore” rispondente al profilo di uno dei più noti volti tra i commentatori del calcio francese.
Di certo il calcio, per molti anni, è stato terreno riservato agli uomini. Gli unici in grado di capire, elaborare, criticare o comunicare il gioco di una squadra, le intenzioni di un allenatore. In Italia, a fare da apripista, Paola Ferrari, la prima giornalista sportiva a lavorare nel mondo del calcio. Dell’argomento ha parlato di recente a Vanity Fair, ricordando le sensazioni nel debuttare in un mondo fino ad allora di dominio maschile:
Cosa ne pensa Paola Ferrari?
«Non è stato facile, ma sono sempre stata una donna testarda e con grande fiducia in sé stessa. Queste sono state le basi per intraprendere una carriera che, quando ho iniziato io, era di fatto riservata esclusivamente agli uomini». La Ferrari ha poi espresso anche solidarietà alle colleghe francesi sostenendo l’iniziativa legata al #MeToo. A riguardo del recente documentario trasmesso da Canal+, ha dichiarato: «Sono molto felice di questa iniziativa, dopo il #Metoo nel mondo del cinema è importante che si aprano gli occhi anche sulle situazioni che noi donne ci troviamo a vivere in altri settori lavorativi. Purtroppo capita un po’ ovunque, e il calcio non è un’isola felice».
Sono fortunatamente molte di più le donne che si occupano e parlano di calcio in Italia e forse un po’ il merito è anche della Nazionale femminile che passo dopo passo sta realizzando una piccola rivoluzione nella cultura sportiva italiana soprattutto calcistica. Ci sembra di poter dire che il cammino appena iniziato abbia ampie prospettive di crescita e miglioramento ma rimane necessario tenere alta l’attenzione su tutte quelle pratiche di atavica memoria che inevitabilmente ancora qualcuno si porta dietro.
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