Bentornati a Once Upon a Time, la rubrica che osserva il glorioso passato delle corse americane. In questa serie di puntate speciali, che andranno in onda ogni due venerdì, esploreremo dal punto di vista storico curiosità ed aneddoti del mondo motoristico a stelle e strisce. Con la puntata di oggi, ripercorreremo la storia di uno dei campionati americani più di prestigio, la Trans Am Series.
Trans Am Series: le origini
La Trans Am Series nacque nel 1966 dall’idea di John Bishop, presidente dello Sports Car Club of America (SCCA). L’obiettivo era quello di organizzare un campionato per vetture berline o coupè derivate dalla produzione di serie. In quell’anno partì la prima stagione della Trans American Sedan Championship (ribattezzata in seguito Trans American e poi Trans Am), con un calendario di sette gare. L’elenco dei piloti contavano nomi altisonanti, cosa che ha reso questo campionato di grande valore storico.
Trans Am Series: l’età dell’oro
Il 25 marzo 1966 il Sebring International Raceway ospitò la prima gara della storia della Trans Am Series. La gara registrò la vittoria di Jochen Rindt, che di lì a quattro anni avrebbe vinto il mondiale di Formula 1. L’austriaco guidò un’Alfa Romeo GTA, vettura che partecipava alla più piccola delle due classi previste all’epoca, la Under 2 litri. la Over 2 litri, che aveva un limite di cilindrata di 5000 cc (o 302 pollici cubici per dirla all’americana) era il terreno di caccia delle pony car americane, che contavano piloti di grande spessore. Uno di questi era Mark Donohue, che debuttò nel 1968. Donohue correva per Roger Penske, il magnate delle corse che iniziò la propria carriera proprio nella Trans Am. “The Capitain”, per promuovere la concessionaria Chevrolet che aveva appena inaugurato, schierò nella serie una Camaro Z28.
La classe inferiore restò appannaggio dell’Alfa Romeo fino al 1968, grazie ai servigi del pilota australiano Horst Kwech. Tuttavia, la Porsche fece pressione alla SCCA per far omologare la 911 come “berlina”, dominando la categoria fino al 1972.
Dalla fine degli anni 60, al 1973 La Trans Am visse quella che molti considerano la sua età dell’oro. La popolarità delle pony car attiravano piloti e costruttori nella classe maggiore, che si popolava di personaggi e veicoli leggendari. Nel 1970, ad esempio, l’American Motors debuttò in veste ufficiale, affidando le proprie Javelin al team di Penske ed a Mark Donohue. Il duo dominò la categoria fino al 1971, quando team e pilota fecero le valigie per emigrare nella Can Am. Il 1972 vide un altro leggendario pilota, Parnelli Jones, prendere il testimone di Donohue, vincendo con la Ford Mustang Boss 302.
La classe Under 2 litri vide l’abbandono di Porsche, la cui 911 era passata ad un motore di 2,2 litri. Per il 1971 la classe fu rivitalizzata portando la cilindrata massima a 2,5 litri. La nuova categoria, rinominata “Two-Five Challenge”, divenne il campo di battaglia tra l’Alfa Romeo GTV di Horst Kwech e la Datsun 510 di John Morton. Nel 1971 e nel 1972 la casa giapponese vinse due volte, battendo le rosse del Portello.
L’anno successivo la classe Two-Five venne definitivamente cancellata, causa la penuria di partecipanti.
Gli anni della la crisi
Con la crisi energetica ed il crollo delle vendite delle muscle car spinsero la SCCA ad un cambio di rotta. Si decise di abbandonare la derivazione dalla serie per passare al concetto di silhouette, vetture da corsa “travestite” da auto di serie. I telai tubolari derivavano dalle stock car impegnate negli short track, e la carrozzeria in composito. In pratica si crearono delle vetture gemelle alle IMSA GT, categoria di durata molto popolare in quegli anni. Soprattutto negli anni 80, vetture e piloti della Trans Am correvano anche in IMSA.
Tra il 1973 ed il 1975 il campionato di nuovo corso vide il dominio della Porsche, vincitrice per due stagioni su tre. Il merito di questa superiorità andava al suo pilota di punta, Peter Gregg. Titolare della Brumos, concessionaria Porsche di Jacksonville, Florida, Gregg sbaragliò la concorrenza di Camaro e Mustang modificate. Il suo più acerrimo rivale fu john Greenwood, il quale schierava una Corvette C3 sviluppata in proprio. Greenwood, che con le sue Corvette partecipò anche alla 24 ore di Le Mans, fu campione nel 1975.
Dal 1976 al 1979 la Trans Am Series ritornò al format della doppia classe, ma con un diverso pacchetto tecnico. Vennero adottati i regolamenti tecnici della FIA Gruppo 4 e Gruppo 5, con l’obiettivò di rimpolpare griglie sempre più sparute. La “Category 2” riservata alle Gruppo 5 divenne il terreno di caccia delle Porsche 935, le quali monopolizzarono la categoria al punto da convincere la SCCA a prendere provvedimenti. Dopo il 1979 si tornò alla classe unica, adottando di fatto il regolamento IMSA GT.
La grande trasformazione
Con l’arrivo degli anni 80, la Trans Am Series subì un’incredibile metamorfosi. L’introduzione delle formule di equivalenza permisero l’adozione dei motori turbo, cosa che aprì di nuovo le porte a nuovi costruttori, anche stranieri. Ai tradizionali V8 made in USA si affiancarono modelli meno conosciuti, con motori V6 aspirati con 4 cilindri turbo. Le case europee e giapponesi ripresero a gareggiare, creando una varietà tecnica che raramente si trovava in altre serie. La competizione era più alta che mai.
Infatti, neanche in quest’epoca mancavano i nomi altisonanti. Nel 1983 Neil DeAtley allestì due Chevrolet Camaro, grazie al supporto di General Motors e dello sponsor Budweiser. Willy T. Ribbs, pilota del team di DeAtley, si confrontò con il compagno di squadra David Hobbs in una stagione appassionante. Ribbs, primo pilota afroamericano a qualificarsi per la 500 miglia di Indianapolis, si mostrò più veloce di Hobbs vincendo cinque gare contro le quattro del compagno. Ma fu l’inglese ex F1 a prevalere, grazie ad una maggiore costanza.
Nel 1984 Ribbs si prese il titolo, ma con una vettura diversa. In quell’anno, infatti, corse con una Mercury Capri la cui gestione in pista fu affidata ad un altro nome altisonante, Jack Roush. Ingegnere originario del Kentucky, Roush divenne in breve tempo un riferimento per i programmi racing del gruppo Ford. Gestì le Mercury fino al 1986, per poi sviluppare a partire dal 1987 le Merkur XR4Ti con motore 4 cilindri turbo, trionfatrici nel 1987 con John Halmsmer ed un giovanissimo Scott Pruett. Roush vinse anche il titolo 1985 con Wally Dallenbach Jr e la Capri a motore V8. A soli 22 anni, Dallebach divenne il vincitore più giovane della storia della Trans Am Series.
Da Hollywood approdò Paul Newman. Il celebre attore amava spesso gareggiare, e la Trans Am fu per lui uno sbocco naturale. Nel 1986 vinse persino una gara, al volante di una Nissan 300 ZX turbo.
Il 1988 segnò un’altra svolta nella storia del campionato. Fu il debutto di Audi, la quale portò in pista una 200 turbo appositamente modificata per la serie. Con il suo motore 2.2 cinque cilindri turbocompresso, e la trazione integrale mutuata dalla leggendaria Sport Quattro campione del mondo WRC, la casa di Inglostadt affidò la gestione delle vetture al veterano Bob Tullius. Hurley Haywood dominò il campionato, con Walter Rohrl e Hans Joachim Stuck ad alternarsi sulla seconda vettura, vincendo a loro volta. La superiorità schiacciante dell’Audi spinse la SCCA a rivedere il regolamento: dall’anno successivo vennero imposte solamente auto di fabbricazione americana.
Dal punto di vista delle piste, la Trans Am Series si caratterizzava per una certa originalità. Oltre ai tracciati storici del panorama USA, si correva anche a Nord del confine, con la pista canadese di Mosport come meta preferita. Non mancavano i circuiti cittadini, con eventi appositamente realizzati, così come le concomitanze con campionati del calibro di IMSA, IndyCar, NASCAR e persino la Formula 1!
Il declino
Con gli anni 90 le case di Detroit ripresero il controllo della Trans Am Series, con Chevrolet e Ford sopra tutti. La casa del Cravattino dominò il decennio, con 6 titoli con cinque piloti differenti. Nacquero le stelle di Scott Sharp, vincitore di due titoli e poi protagonista in IndyCar, e Tommy Kendall. Il pilota californiano vinse, tra il 1993 ed il 1997, quattro titoli e 28 gare, arrivando quasi ad eguagliare Mark Donohue. Kendall ottenne gli ultimi due titoli della serie per Jack Roush, al suo ultimo impegno prima di concentrarsi sulla NASCAR. Paul Gentilozzi fece ancora meglio di Kendall, segnando cinque titoli e 31 vittorie. Gentilozzi vinse con il suo team, il Rocketsports Racing.
Nell’anno 2000 venne introdotta un’ala posteriore unica, per livellare le prestazioni tra le vetture Debuttarono le esotiche Panoz Esperante e Qvale Mangusta, a cui si aggiunse la Jaguar XKR. La coupè inglese con il V8 a doppio albero a camme in testa spadroneggiò la serie per tutto l’inizio del millennio: Gentilozzi vinse due campionati nel 2001 e nel 2004, aggiungendo un terzo nel 2006. Nel 2003 la XKR vinse ancora questa volta con Scott Pruett. Nel 2000 Brian Simo divenne campione con la Mangusta, nel 2002 fu la volta di Boris Said, al volante della Esperante.
Continuò la tradizione delle gare strane. Oltre alle piste più iconiche degli Stati Uniti e del Canada, la Trans Am Series riprese le concomitanze con la Indycar. Non mancavano i cittadini, spesso nei posti più impensabili: il campionato 2003 ad esempio si concluse con una gara a San Juan, nell’isola di Puerto Rico. La gara, per la cronaca, fu vinta dal locale Wally Castro, al volante di una Jaguar XKR.
Il 2006 fu l’anno della crisi della Trans Am series. La mancanza di partecipanti spinsero la SCCA a ridurre il campionato a sole tre gare, assegnando solo i titolo piloti. Nei due anni successivi la serie fu di fatto cancellata, lasciando intendere un lento sprofondare nell’oblio. E invece…
Trans Am Series: la rinascita
Nel 2009 la Trans Am Series riprese vigore, con grande sorpresa dell’ambiente. La SCCA annunciò infatti la riorganizzazione del campionato, con una nuova gestione ed il regolamento GT-1, che di fatto era quello originale della serie. Ad esso furono aggiunte altre due classi, la TA2 e la TA3, basate sui regolamenti GT-2 e GT-3 della SCCA, identici al primo ma con potenze inferiori. Negli anni successivi la TA3 ha introdotto i modelli GT, anche di provenienza estera come le Ginetta G55. Nel 2020 nasce la nuova categoria Extreme GT, riservata alle FIA GT3 di scaduta omologazione.
Le gare sono disponibili in diretta streaming, ed in replica sul canale Youtube ufficiale.
E con questo, finisce l’appuntamento speciale con Once Upon a Time. Grazie per averci seguito, e vi ricordiamo gli appuntamenti del lunedì e del martedì, con i review delle stagioni IndyCar e NASCAR. Bye bye!
Kyle Larson licenziato!: https://sport.periodicodaily.com/nascar-kyle-larson/