Una domanda che spesso affolla la mente degli appassionati è questa: i piloti di F1 come se la cavano a Indianapolis? La 500 miglia è un qualcosa che ha ben poco a che fare con la massima formula, ma ciò non ha impedito a qualche pilota della serie massima di provarci. E la storia c’insegna che ci sono anche riusciti, uscendo dall’Indiana come vincitori. Oppure è avvenuto il contrario, e cioè che gli immortalati di Indy tentavano la fortuna nel circus. A questo punto, non resta che fare un passettino indietro nel tempo, e scoprire i nomi dei piloti che possiamo definire come eroi dei due mondi.
Chi sono i piloti di F1 che hanno vinto anche a Indianapolis?
Il primo nome di questa speciale élite è l’americano Roger Ward. Ward vinse due edizioni della 500 miglia, nel 1959 e nel 1962, e vinse il campionato USAC National (antenato dell’attuale IndyCar) negli stessi anni. Roger figura nelle statistiche della F1 con 12 presenze, tuttavia in 10 occasioni riguardavano solo Indianapolis. Fino al 1959, la 500 faceva parte del calendario iridato. In quello stesso anno, Ward prese parte al primo e vero GP, quello di Sebring, al volante di una midget adattata. Non vide il traguardo per un problema alla frizione. L’ultima apparizione fu a Watkins Glen nel 1962, al volante di una BRM. Anche quell’esperienza si concluse con un ritiro.
Negli anni 60 e 70, furono ben quattro le star della Formula 1 a triofare a Indy. Jim Clark dominò l’edizione del 1965, al volante di una Lotus Ford assistita dal Wood Brothers Racing, team storico della NASCAR. Graham Hill si portò a casa la coppa del 1966, battendo proprio Clark. Decisivo fu un testacoda dello scozzese, che secondo alcuni spinsero la direzione gara a contargli un giro in meno (errore di valutazione?). Quella volta corse anche Jackie Stewart, che stava per vincere prima che andasse a ramengo la pressione dell’olio del suo motore. Mario Andretti fece sua la gara del 1969, in quella che fu la sua unica vittoria. “Piedone”, iridato nel 1978, avvicinò il successo molte altre volte, venendo però colpito dall’ormai celebre “Andretti Curse”. Mark Donohue, nel 1972, portò a Roger Penske la prima delle sue 18 vittorie a Indianapolis. Lo statunitense disputò 14 GP in F1, anche con lo stesso Penske. Morì in un incidente al GP d’Austria del 1975, nel corso delle prove libere.
Gli anni 80 e 90
Come Ward e Donohue, anche Danny Sullivan non lasciò troppo il segno in Formula 1. Per il pilota nativo del Kentucky si contano solo 14 GP al volante della Tyrrell, a fare da buona spalla al nostro Michele Alboreto. Corse la prima Indy nel 1984, per poi vincerla nel 1985. Il tutto nonostante un testacoda a 20 giri dalla fine, che sembrava aver condannato le sue chance. Ancora oggi, quella storia viene raccontata come la “Spin and Win”.A differenza di Sullivan, Emerson Fittipaldi arrivò in Indiana con un curriculum ben più prestigioso, con due mondiali nel 1972 e nel 1974. “Emmo” conquistò Indy nel 1989 battendo Al Unser Jr in un ruota a ruota spettacolare. Il brasiliano si ripeté nel 1993, battendo Arie Luyendyk ed il campione del mondo uscente Nigel Mansell. In Victory Lane, ebbe la bella pensata di rifiutare il tradizionale latte per bere il succo d’arancia che promuoveva, facendo insorgere i fan. Un gesto che ancora oggi non gli viene perdonato. Nel 1995 venne il turno di Jacques Villeneuve, autore di una gara capolavoro in cui rimediò a ben due giri di penalità. Il canadese approdò in seguito nella massima categoria, vincendola nel 1997 con la Williams. 12 mesi più tardi, nel 1998, un altro ex di F1 fece scolpire il suo volto sul trofeo Borg Warner: Eddie McKay Cheever, 132 GP disputati e sette podi all’attivo, tagliò il traguardo trionfante, al volante di una Dallara Oldsmobile di sua proprietà.
Piloti di F1 a Indianapolis: gli ultimi anni
Con il passaggio al nuovo millennio, segnaliamo due nomi di questa speciale graduatoria. Juan Pablo Montoya, come Villeneuve, si costruì la fama in Indiana prima di approdare in Europa. Nel 1999 prese il posto di Zanardi presso Ganassi, vincendo all’esordio l’allora CART. Lo stesso team lo portò alla 500 miglia nel 2000, quando all’epoca tale corsa era il feudo della rivale IRL. Con un dominio incontrastato, “Juancho” sbaragliò la concorrenza “locale”, per poi meritarsi la promozione in Williams. In F1 il colombiano sfiorò il mondiale nel 2003, fu licenziato nel 2006 e si trasferì nella NASCAR, in quello che si rivelò un vero e proprio suicidio sportivo. Rientrò a Indy nel 2014 con il Team Penske, vincendo la gara l’anno dopo. Il tutto nonostante la sbadataggine di Simona De Silvestro, che lo tamponò in regime di Pace Car!
L’ultimo membro di questo club esclusivo è Alexander Rossi. Terminato l’apprendistato in Formula 2, lo statunitense fece un pungolo di gare in F1 con la derelitta Manor, nel 2015. Attese la chiamata di un top team, che non arrivò mai. Decise quindi di accettare l’offerta di Michael Andretti di diventare suo alfiere in IndyCar. Nel 2016 Alex vinse a sorpresa la 500, grazie ad un’oculata gestione del consumo. Oggi Alex non ci pensa più ai Gran Premi, preferendo giocarsi le sue chance in patria. Rossi e Montoya sono gli unici di questa lista a prendere parte alla 500 miglia di quest’anno. Il duo partirà dalla decima e dalla 24esima posizione rispettivamente.
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