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La comunicazione nel mondo del calcio: intervista ad Alberto Monguidi

La comunicazione nel mondo del calcio possiede da sempre un ruolo fondamentale nella gestione dei rapporti e delle gerarchie, ma nella situazione attuale sta diventando la discriminante che separa un epilogo positivo da una serie di decisioni distruttive.

Uno dei massimi esperti di comunicazione è sicuramente il giornalista Alberto Monguidi, ex responsabile dell’ufficio stampa del Parma Calcio e responsabile comunicazione della Serie B.

In cosa consiste nello specifico il Suo ruolo?
«Quello che un tempo era l’addetto stampa e che ora si è ampliato e si è trasformato in responsabile della Comunicazione, il che significa che nell’era dell’informazione dovresti essere in grado di dare una struttura coerente al messaggio che esce dalla tua azienda, nei modi e nelle forme che, sempre secondo i piani, hanno un obiettivo e un origine che prende le mosse da valori fondanti e condivisi. Non è facile perché in mezzo ovviamente si frappongono le variabili che in molti casi, lo vediamo anche in queste settimane, non sono di secondaria rilevanza»

Alberto Monguidi quando lavorava per l’ufficio stampa del Parma Calcio

Come si è evoluta la Serie B nel tempo?
«Il calcio è cambiato, noi cerchiamo di guidare questo cambiamento. E’ sicuramente più facile dei colleghi della Serie A che sono il motore economico del calcio e hanno nella competitività e nel business due parole dalle quali difficilmente riescono a prescindere. Soprattutto quando si parla di grandi piazze che devono fare i conti in Europa con club di prim’ordine. In Serie B si mastica ancora un calcio di provincia, il giocatore lo trovi al bar, ci fai due chiacchiere, la squadra è fortemente connessa con il territorio e con le dinamiche quotidiane. Il nostro presidente Balata crede moto a questo rapporto che cerchiamo di coltivare al meglio, con iniziative e messaggi che rafforzino questo legame»

In che modo le nuove tecnologie (Goal Line tecnology, VAR) hanno influenzato la comunicazione soprattutto in Serie B?
«Va bene la tradizione, dicevo, ma poi ci sono le esigenze della gente. Io a volte mi chiedo: ma quando avevo 14 anni e seguivo la mia quadra in trasferta non c’erano nemmeno le tribune e stavo sulle montagnole di terra che talvolta erano pure di fango. E allora cosa si lamentano oggi se manca una copertura? Poi capisco che sono ragionamenti da nostalgico di mezz’età, ritorno in me e cerco di capire cosa si aspetta la gente oggi. Chiede magari di vedere la partita con un minimo di confort e pretende anche uniformità nelle decisioni con l’arbitro che possa vedere quello che tutti vedono e giudicano a casa. Ecco perché, nei dovuti modi, la comunicazione della tecnologia in campo è una comunicazione di trasparenza e quindi di credibilità».

Quali cambiamenti causano le retrocessioni di grandi squadre dalla serie A alla serie B?
«Cambia, inutile dire che c’è un interesse quasi ridondante per il club che catalizza buona parte dell’attenzione di tutto il campionato, al prescindere del risultato: se va bene ha attenzione mediatica per un motivo e se va male ce l’ha per un altro verso. Per la Serie B è un grande onore e piacere poter ospitare club che hanno fatto la storia del calcio ma bisogna essere capaci di gestire le cose “cum grano salis”. Per rispetto verso quel club ma anche di tutti gli altri. La stessa cosa accade quando scendono in B campioni o allenatori celebrati…»

Quali sono le maggiori difficoltà che può riscontrare nel Suo lavoro?
«Il bello e il difficile di questo lavoro è che ogni giorno ti trovi davanti a situazioni diverse, oltre che impreviste. Non è il lavoro per cui puoi chiamare a casa e dire di buttare la pasta, rischierebbe di scuocersi o di diventare fredda né è il lavoro in cui puoi replicare come una pratica quanto ti è accaduto il giorno prima. E’ infine un lavoro che ti impegna continuamente a modellare e modificare strategie a seconda dell’evolversi della situazione e del contesto in cui ti muovi»

Pensa che si debba allargare il dialogo anche agli arbitri attraverso la spiegazione del loro operato?
«Gli arbitri hanno già fatto molto per aprirsi verso l’esterno. Sono molti gli incontri che i vertici dell’AIA fanno con i giornalisti e con i club per condividere regole e percorsi comuni. Non dimentichiamoci poi della tecnologia che gli arbitri hanno supportato e accolto nonostante, di fatto, cedano parte del loro potere decisionale. Per quanto riguarda i commenti a caldo, penso di essere troppo rispettoso delle gerarchie e troppo poco incline ai patiboli per pensare che si possa mettere in discussione l’autorevolezza attraverso una banale intervista nel post partita. Con le dovute proporzioni un giudice fa una conferenza stampa dopo una sentenza? A ognuno il suo»

Ha dei consigli da fornire ai giovani che vogliono intraprendere questo lavoro?
«Fare tanta strada, spalare fango e differenziare le proprie competenze. Nel primo caso praticare il giornalismo sul campo, perché solo in questo modo si possono respirare e capire le esigenze della gente che sono anche tuoi lettori. Molte volte, infatti, si rischia l’autoreferenza che è il peggior male per una professione che si rivolge all’esterno. Poi non aver paura di seguire e scrivere le cose apparentemente più umili, dalla sagra del formaggio all’incidente di poco conto, perché tutto fa palestra. Infine lo sport non è solo una palla che va in rete ma ha un contorno di costume, di economia, di spettacolo e purtroppo talvolta di giustizia che non si può ignorare. Solo chi ha praticato tutti gli ambiti della cronaca riesce a muoversi con competenza e completezza d’informazione».