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Essere una mamma in carriera nello sport. Il racconto delle protagoniste

Praticare sport e affrontare la maternità. Un argomento dibattuto anche nel nostro Paese soprattutto in relazione alla nuova legge sullo sport che dovrebbe garantire diritti alle donne che praticano una disciplina sportiva ad alto livello ma ad oggi non si vedono riconosciuti alcuni benefit come ad esempio quelli legati al periodo precedente e successivo la nascita di un figlio. E molto spesso ci si è trovati davanti ad una scelta che contempla una sola strada, in cui figlio e carriera sportiva sono in completa antitesi. E’ così in tutto il mondo, non solo in Italia.

Adia Barnes

Espn.com ha fatto una rapida carrellata e ha proposto il racconto di alcune atlete e allenatrici statunitensi e come hanno affrontato la questione. Alcune volte anche con aneddoti simpatici come quello di Adia Barnes, allenatrice di basket femminile dell’Università dell’Arizona. Durante una partita della sua squadra si è precipitata negli spogliatoi, in un bagno vuoto mentre agganciava il tiralatte a un reggiseno, l’ex Wildcats All-American, campionessa WNBA e madre di due figli, pensava alla strategia. 

Era il primo tempo della partita del campionato nazionale del torneo femminile NCAA – il più importante torneo della carriera da allenatrice per Barnes – e la sua squadra era in svantaggio per 31-24 contro lo Stanford Cardinal. Per vincere il titolo nazionale, l’Arizona doveva apportare modifiche. E mentre allattava cercava la soluzione da proporre al rientro in campo.

Non aveva abbastanza tempo per coprirsi, ma non aveva importanza. Peccato che al rientro avesse lasciato attaccato il tiralatte e rise mentre guardava in basso. I due imbuti di plastica sul suo petto somigliavano a missili. Tornò di corsa negli spogliatoi.

Serena Williams

Per Serena Williams, campionessa nel tennis, la cui figlia Olympia è nata nel 2017, le madri che praticano o lavorano in ambito sportivo sono un importante volano: “È incredibile essere nella posizione in cui si ha l’opportunità di dire alle donne che sono mamme, ‘Puoi farlo!’“, ha detto la Williams.

Serena, che era incinta quando ha vinto il titolo dell’Australian Open 2017, ha sopportato un parto difficile, partorendo con taglio cesareo di emergenza. A cui sono seguite delle situazioni cliniche di rilevanza come un’embolia polmonare e la depressione postpartum di cui ha sofferto e che ha raccontato tramite i canali social ai suoi followers.”Mi sento come se dopo aver avuto un bambino, ci siano un sacco di problemi postpartum che devi affrontare“, ha detto la Williams. “Molte persone ritengono che sia un tabù parlare di questo. Non lo è“.

Due storie diverse ma che trovano riscontro nella vita di tutti giorni, in quella di giovani madri sia all’interno che fuori il mondo sportivo. Stesse idee a volte errate, stesse sfide che vengono affrontate e superate con forza, vulnerabilità e grazia.

“Non è ciò che accade agli uomini”

Adia Barnes racconta episodi esilaranti, ora in chiave ironica, ma di sicuro imbarazzo al momento dell’accaduto. Come il vedere cadere a terra, nel bel mezzo di una intervista, la pompetta tiralatte precedentemente sistemata per recuperare tempo.

Alla Final Four femminile ha partecipato tutta la famiglia di Barnes, compreso il marito Salvo Coppa, assistente allenatore del suo staff, il figlio Matteo di 5 anni e la figlia Capri di 7 mesi, che Barnes sta ancora allattando.

Ricordo di essermi seduto lì a pensare … ‘Oh, Dio’ … ma poi tutti hanno iniziato a ridere, quindi ho pensato, ‘Oh sono contenta di avervi fatto ridere'”, ha detto Barnes. “Perché è stato un momento stressante, una partita di campionato nazionale, un momento importante della nostra vita. E ho pensato tra me e me, ‘Accidenti, ai ragazzi queste cose non succedono!’. Ho passato molti di quei momenti durante le Final Four – ha proseguito – momenti in cui ho messo in dubbio le mie capacità di mamma, di bravo allenatore“.

Il consiglio di non rimanere incinta

Kerri Walsh Jennings, tre volte medaglia d’oro olimpica di beach volley effettua il suo primo allenamento alle 8 del mattino, allenamento con i pesi dopo pranzo e poi di nuovo sulla sabbia ancora una volta prima di cena. Questa la sua giornata tipo. A 42 anni, Walsh Jennings potrebbe diventare la più anziana giocatrice di beach volley femminile olimpica della storia se si qualificasse per i Giochi estivi di Tokyo di quest’anno. Una soddisfazione che arriverebbe non senza sacrifici dal momento che per allenarsi è attualmente lontana da suo marito e dai loro tre figli.

Oggi Walsh Jennings considera la maternità un’estensione che le permette di esprimere maggiormente se stessa sia dentro che fuori dal campo. Ma 20 anni fa, dopo che si è laureata a Stanford e ha iniziato la sua carriera da professionista, il concetto di mamma che lavora non le si presentava esattamente così.

Quando ho scoperto di essere incinta per la prima volta, l’atleta dentro di me mi ha detto, ‘Oh mio Dio, cosa ho appena fatto?’ Perché mi è stato letteralmente consigliato di non rimanere incinta. Aspetta finché non hai finito – ha detto la Jennings – non mi sembra giusto. Avevo desiderato da sempre di essere una mamma“.

Per gli altri sembriamo delle macchine in carriera ma non è così

Candance Parker, dopo aver lavorato come analista per l’NBA ad Atlanta, dal 15 maggio sarà free agent per il il Chicago Sky.Ha una figlia di 11 anni che non vede da qualche settimana e un unico desiderio:essere a casa. È questo un altro fardello che le mamme si sentono costrette a sopportare: l’immagine della donna orientata alla carriera che può conquistare tutto, senza alcuna parvenza di vulnerabilità.

Il più grande malinteso sulle mamme che lavorano è che un po ‘siamo quasi come macchine, e non è così. La sfida è anche il senso di colpa che spesso proviamo“.

“La cosa particolare che ho notato quando ho iniziato a intraprendere questo viaggio in doppia modalità d madre e lavoratrice è stata la quantità di domande che ho ricevuto poste in modo diverso rispetto alle controparti maschili. Domande tipo: “Beh, chi guarda i tuoi figli quando sono in viaggio?” le stesse che sicuramente non viene in mente di chiedere ad un allenatore o un giocatore di sesso maschile.

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