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Evel Knievel, l’ultimo daredevil

Il 30 novembre 2007 moriva, nella sua casa di Clearwater in Florida, Evel Knievel. Quest’uomo, nato nel profondo ovest degli Stati Uniti, è diventato nel tempo una specie di eroe umano, capace d’imprese memorabili…e di cadute. Proprio per questo era amato dalle folle: saltare quindici camion con una moto lo rendeva eroico, ma spesso quei salti finivano male. E ciò lo rendeva umano.

Oggi, in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, vi raccontiamo la vita e le opere del più grande stuntman della storia. Una vita fatta di avventure, per un uomo che ha fatto delle scariche di adrenalina un vero e proprio stile di vita.

Come iniziò la vita di Evel Knievel?

Robert Craig Knievel (questo era il suo nome di battesimo) nacque il 17 ottobre 1938 a Butte, nel Montana. Fin dall’inizio dovette affrontare le difficoltà, come ad esempio il divorzio dei genitori. Era il 1940: il piccolo Robert aveva solo 18 mesi.

I genitori affidarono lui ed il fratello Nicolas ai nonni paterni, Ignatius ed Emma Knievel. Dal nonno Robert imparò le arti della caccia, della pesca ed assistette al suo primo show di acrobazie. Come raccontò lui stesso, aveva otto anni quando vide lo spettacolo di Joie Chitwood, il più grande stuntman dell’epoca. E cominciò a sognare di seguire le sue orme, spinto dalla voglia di sfide.

Una voglia che mal si conciliava con gli studi: infatti, il giovane Robert abbandonò il liceo dopo il secondo anno. Si fece assumere in una miniera, dove manovrava la scavatrice. Un giorno, ebbe la bella pensata di farla impennare a mo’ di motocicletta, salvo perderne il controllo e schiantarsi contro un traliccio dell’energia elettrica. on il risultato che la città di Butte rimase al buio per ore, ed il giovane Knievel perse il posto.

Dotato di un fisico atletico, Robert praticava diversi sport. Ottenne dei successi nello ski jumping, per poi passare al salto con l’asta, disciplina che praticava ai tempi in cui era arruolato nell’esercito. Al termine del servizio militare, Robert si sposò con la prima moglie, Linda Joan Bork. Dall’unione nacquero quattro figli: Kelly, Robbie, Tracie e Alicia. Kelly e Robbie seguirono le orme del padre, diventando a loro volta degli stuntman.

Dopo la leva, Knievel fondò una squadra di hockey semi professionistica, i Butte Bombers. Sfruttando una sua abilità innata – la sua faccia tosta – riuscì a convincere la nazionale olimpica della Cecoslovacchia a disputare un incontro amichevole, in preparazione dei giochi invernali di Squaw Valley (California) del 1960. Durante il terzo tempo, Robert venne espulso dalla partita e lasciò il campo. Dopo la partita, gli addetti ai lavori scoprirono che la cassa era sparita, e non potevano pagare il rimborso spese promesso ai cecoslovacchi. Solo l’intervento del comitato olimpico statunitense evitò l’incidente diplomatico che poteva avere conseguenze catastrofiche. Siamo in piena guerra fredda, non dimentichiamocelo…

Terminata la carriera nell’hockey, Knievel decise di mettere a frutto le abilità di cacciatore apprese dal nonno. Fondò una società, la Sur-Kill Guide Service. La società offriva il servizio di accompagnare i cacciatori nei luoghi dove avrebbero potuto trovare prede molto ambite. La compagnia prevedeva una curiosa formula “soddisfatti o rimborsati”: se il cacciatore non avesse trovato l’animale che cercava, Knievel avrebbe restituito la parcella.

Il servizio fruttava bene, finché non ebbe problemi legali per aver accompagnato cacciatori ad uccidere le alci in zone protette. Robert rispose con un gesto eclatante: viaggiare da Butte a Washington DC…in autostop! Portò con sé delle corna di alci larghe un metro e mezzo, ed una petizione con 3 mila firme. La sua missione era quella d’interrompere il trasferimento delle alci nelle aree protette, perché erano in sovrannumero (la legge federale americana consente la caccia di un numero limitato di animali selvatici in caso di sovrappopolamento).

Arrivato nella capitale, Knievel consegnò la petizione ad alcuni parlamentari, nonché al Segretario agli affari interni dell’epoca, Stewart Udall. La ricollocazione degli animali fu proibita alla fine del decennio.

Al rientro a casa, Knievel iniziò una carriera nel motocross, con qualche buon risultato. Ma i guadagni troppo bassi, ed una frattura ad una clavicola che gli costò sei mesi di stop, lo spinsero a cambiare ancora. Si fece assumere dalla compagnia di assicurazioni di William Clement Stone, noto imprenditore nonché co autore del libro “Il Successo Attraverso l’Atteggiamento Mentale Positivo”, assieme al guru del self-coaching Napoleon Hill. Knievel lasciò la compagnia quando essa si rifiutò di promuoverlo a vice presidente, a pochi mesi dalla sua assunzione.

Deluso, lasciò Butte in cerca di nuove opportunità. Si trasferì a Moses Lake, Washington, dove aprì una concessionaria Honda. La chiuse dopo poco tempo, complice la riluttanza dei clienti americani a comprare moto giapponesi. In seguito, si fece assumere nell’officina di Don Pomeroy a Sunnyside, dove fece amicizia con il figlio del capo, la leggenda del motocross mondiale Jim Pomeroy. Da lui Knievel imparò ad impennare con la moto, e la guida in piedi sulle pedane.

Poi, un giorno, si ricordò di quel sogno fatto da bambino…

Da Robert Knievel a Evel Knievel

Sempre alla ricerca di nuove sfide, Knievel decise di esaudire il desiderio dell’infanzia. Organizzò un salto con una motocicletta, imitando le gesta del suo eroe Joie Chitwood. L’idea era quella di saltare due grosse gabbie, di cui una contenente dei puma, ed un’altra piena di serpenti a sonagli. L’atterraggio fu corto, e con la ruota posteriore colpì la gabbia dei serpenti. Ma il salto riuscì, e gli venne voglia di replicarlo, con un ingaggio ed un vero seguito di pubblico. Ma per fare tutto ciò serviva una vera organizzazione, e soprattutto, uno sponsor.

Per il primo aspetto, Knievel fece tutto da solo. Scrisse il comunicato stampa, distribuì i volantini, vendette i biglietti. Per la parte economica andò a cercare un finanziatore, trovandolo in Bob Blair. Era il titolare della ZDS Motors, la divisione West Coast della Berliner Motor Corporation, importatore di marchi europei come Norton e Ducati.

Knievel si presentò come leader di una squadra di stuntman, la Bobby Knievel and His Motorcycle Daredevils Thrill Show. Blair propose di cambiare il nome in Evil Knievel and His Motorcycle Daredevils, ma Robert rifiutò perché temeva di essere scambiato per un membro degli Hells Angels, i famigerati motociclisti che devastavano i quartieri. Si raggiunse un compromesso, per cui il nome Evil fu cambiato in Evel. E fu così che nacque il nome di Evel Knievel.

Il primo spettacolo avvenne il 3 gennaio 1966 al National Date Festival di Indio, California. Fu un grande successo, a tal punto che Evel ricevette diverse offerte per effettuare altri salti. Tra il 1966 ed il 67 effettuò diverse imprese, alcune riuscite, altre finite con cadute rovinose. Si procurò diverse fratture, una costante nella sua carriera di daredevil.

Tornando al nome, c’è un altro aneddoto che viene raccontato. Nel 1956 il giovane Knievel fu arrestato dalla polizia, al termine di un inseguimento con una moto rubata. Fu messo in prigione assieme ad un certo William Knofel, soprannominato “Awful” (terribile) dalle guardie per l’assonanza con il cognome. I secondini fecero lo stesso con Robert, ribattezzandolo “Evil” (malvagio), cambiato in seguito in Evel. Si tratta di una storia non verificata, che però aggiunge colore ad un personaggio decisamente fuori dal comune.

La fontana della consacrazione

Nel 1967, Evel Knievel aveva acquisito una certa notorietà a livello locale, con diversi salti (e giorni d’ospedale) alle spalle. Sempre alla ricerca di nuove sfide, voleva alzare l’asticella sempre più. Un giorno, durante un viaggio a Las Vegas, ebbe l’idea: saltare la fontana del suo casino più famoso, il Ceasar Palace!

Per ottenere il permesso, doveva convincere l’amministratore delegato della struttura, Jay Sarno, Ci riuscì tempestandolo di telefonate, fingendo di essere titolare di una società fittizia (la Evel Knievel Enterprises), una volta un avvocato, una volta un produttore TV…a proposito di TV, Evel contattò la ABC per far trasmettere l’evento in diretta, salvo ricevere un no. Ma la rete prenotò i diritti della registrazione, promettendo di trasmetterla se fosse spettacolare come promesso. Per risparmiare sulle riprese, Knievel si rivolse al regista John Derek, il quale affidò le riprese con le telecamere alla moglie, Linda Evans.

Il giorno dell’evento, Knievel si preparò al salto…a modo suo. Puntò gli ultimi 100 dollari che aveva in tasca al tavolo del blackjack, perdendoli tutti. Si fece un sorso di whiskey, ed aspettò il suo momento, accompagnato da un paio di showgirls.

Il salto al Ceasar Palace avvenne il 31 dicembre 1967, davanti ad una folla gremita. In sella ad una Harley Davidson XR750, Knievel raggiunse la rampa per tentare il salto più lungo che avesse mai affrontato, 43 m. Ma, al decollo, la moto decelerò improvvisamente, facendogli perdere spinta. Andò a colpire la rampa di sicurezza, che lo catapultò al parcheggio di Dunes. L’esito fu molto doloroso: frattura dell’osso sacro, del polso, di entrambe le caviglie, ed una commozione cerebrale. Si vociferava che fosse rimasto in coma per 29 giorni, ma la notizia fu smentita dalla moglie.

Nonostante il rovinoso atterraggio, il salto del Ceasar Palace fu un grande successo. La ABC acquistò i diritti del filmato, pagandolo molto di più di quanto avrebbe sborsato per la diretta. Evel Knievel era ormai diventato un eroe nazionale.

Le ultime imprese

Ripresosi dal gran botto di Las Vegas, Knievel riprese a saltare. la sua specialità erano le pile di autovetture e di mezzi pesanti, con le quali intratteneva il pubblico di mezza America, affamato di adrenalina. A volte andava bene, a volte male. Secondo il Guinness World Records, Knievel ottenne 433 fratture, segnando il record dell’uomo sopravissuto al maggior numero di rotture. Si tratta probabilmente di un’esagerazione: lo stesso Knievel dichiarò di non averne subite più di 35.

La sua vita continuò a saltare ogni giorno un’auto o un camion in più. Ma non bastava: ci voleva qualcosa di eclatante, di rischioso, di strabiliante. Ebbe così l’idea della sua impresa definitiva. Nel 1969 annunciò che avrebbe saltato il Grand Canyon!

Tuttavia, il governo federale non fu dello stesso avviso. Nonostante trattative infinite, e migliaia di dollari spesi in avvocati di grido, il Dipartimento degli affari Interni gli negò il permesso dello spazio aereo della porzione del Canyon in Arizona, dove aveva programmato lo spettacolo. Alla fine rinunciò, pensando ad un’alternativa valida. Ma quale?

Un giorno, durante un viaggio in aereo per tornare a Butte, Knievel sorvolò il Canyon dello Snake River, in Idaho. Non era il Grand Canyon, ma ci andava vicino. Si accordò con le autorità locali, ed annunciò l’impresa nel 1971. La macchina organizzativa si mise in moto.

Knievel assunse Bob Arum, noto per organizzare incontri di boxe. L’inizio non fu facile, in quanto molti investitori subirono pesanti perdite (tra di essi c’era anche Vince McMahon, il patrono della WWE). Arum si rivolse ad una società, la Invest West Sports, per ottenere i fondi necessari per organizzare il tutto. Evel si occupò della parte tecnica: per un salto speciale, serviva una moto speciale.

Per l’occasione, assunse un ingegnere aeronautico, Doug Malewicki, incaricandogli di progettare una moto apposita. Il risultato finale fu la Skycycle X-2, equipaggiata con un motore a razzo progettato da Robert Truax, ex ingegnere della marina. Dopo alcuni test sperimentali, si decise che la Skcycle sarebbe stata lanciata a mo’ di missile, invece della consueta partenza da fermo.

Il lancio avvenne l’8 settembre del 1974 nella porzione sud del Canyon nei pressi di Shoshone Falls, Idaho. Purtroppo, il paracadute si aprì troppo presto, frenando la moto appena dopo aver lasciato la rampa. La Skycycle precipitò nel canyon, arrivando ad un passo da cadere nel fiume. Se l’avesse fatto, raccontò lo stesso Knievel, sarebbe morto annegato, perché era intrappolato dalle cinture di sicurezza. Nonostante il volo, Evel se la cavò con delle ferite superficiali.

La sua fama raggiunse livelli stellari, cosa che gli fece guadagnare ingaggi anche oltreoceano. nel 1975 saltò 13 autobus nel celeberrimo stadio di Wembley, in Inghilterra, davanti a 90 mila spettatori. L’atterraggio fallì miseramente, ed il pilota riportò l’ennesima frattura all’osso sacro. Ma si guadagnò grande rispetto, tanto da ricevere in ospedale la visita della leggenda della Formula 1 Jackie Stewart. Durante la degenza, annunciò il ritiro dalle scene, salvo poi ripensarci e rientrare.

Il 25 ottobre 1975, Knievel saltò 14 autobus nel corso di uno show al Kings Island di Cincinnati, Ohio. Entrò nel Guinness dei Primati per il maggior numero di mezzi pesanti saltati in una volta sola, record rimasto imbattuto fino al 1999 (in quell’anno, Bubba Blackwell saltò 15 bus). Proseguì ancora per tre anni, soprattutto per lanciare la carriera del figlio Robbie. Il suo ultimo spettacolo è del 1980, a Puerto Rico, insieme a Robbie. Fece un’ultima apparizione in Florida nel 1981, per poi smettere definitivamente.

Gli ultimi anni

Terminata la carriera di stuntman, Eevel Knievel acquistò un camper e viaggiò in lungo e in largo per gli Stati Uniti, vendendo opere d’arte che sosteneva aver dipinto da sé. Rimase lontano dalla ribalta fino agli anni ’90, dove tornò come testimonial per diverse aziende (tra le quali la Harley Davidson, che gli fornì le moto per i salti fino al 1977).

La sua vita privata non mancava di scossoni, complice un carattere difficile e la tendenza agli eccessi. La moglie Linda chiese il divorzio nel 1997, dopo 38 anni di matrimonio. Nel 1992 conobbe Chrystal Kennedy a Clearwater, Florida, dove Evel aveva trovato casa. Si sposarono nel 1999, salvo poi divorziare dopo appena due anni.

Non mancarono neppure i problemi legali. Nel 1977 aggredì Shelly Saltman, il quale aveva pubblicato una biografia non autorizzata. Nel libro si raccontava di Knievel come un uomo drogato e violento, dedito a picchiare la moglie e maltrattare i figli. Evel si confrontò con lui chiedendo di ritirare il libro, colpendolo con una mazza da baseball. Saltman riportò diverse fratture ad un braccio, che usò come scudo per proteggere la sua testa.

Lo scherzo di Knievel gli costò sei mesi di prigione in California, nonché un periodo di osservazione di tre anni. Molte aziende, tra cui la Harley Davidson e la Ideal Toys ritirarono le loro rispettive sponsorizzazioni. La biografia fu ritirata dal mercato.

I numerosissimi infortuni minarono pesantemente la sua salute. Nel 1999 fu ricoverato d’urgenza per una grave forma di epatite C, contratta dalle mille trasfusioni subite. I medici gli diedero due giorni di vita, complice l’assenza di un organo donatore per il trapianto. Evel chiese di trascorrere quei giorni a casa, ma non fece in tempo a firmare le carte per le dimissioni che arrivò un motociclista morto in un incidente, con un fegato compatibile. Il trapianto fu eseguito con successo.

Ma i suoi guai sanitari non finirono lì. Nel 2005 fu colto da due attacchi cardiaci leggeri, di cui uno gli impedì di partecipare ad un raduno di Harley Davidson a Milwaukee. Nel 2006 si fece impiantare una pompa per iniettare morfina, necessaria a lenire i forti spasmi alla zona lombare. Ma il suo male più grande fu la fibrosi polmonare idiopatica, malattia degenerativa che lo obbligava a stare sempre attaccato all’ossigeno. Fu proprio questa malattia a portarlo alla morte, il 30 novembre del 2007, nella sua casa di Clearwater. Aveva 69 anni.

Ma la sua leggenda è destinata a vivere in eterno. Molti suoi cimeli sono esposti in diversi musei, tra i quali l’Evel Knievel Museum di Topeka, Kansas. Le sue imprese hanno ispirato l’arte, nelle sue diverse forme. Nel 2003 il compositore Jef Bek ottenne dallo stesso Knievel la licenza per comporre un’opera rock ispirata alla sua vita. L’opera andò in scena a Los Angeles nel 2007, ed ebbe un discreto successo.

Numerosi furono i film e documentari dedicati a lui. Segnaliamo tra questi il film biografico “Evel Knievel” di Marvin Chomsky, e “Viva Knievel” di Gordon Douglas in cui lo stesso Knievel interpretò se stesso. Tra i documentari, segnaliamo “Pure Evel: American Legend”, realizzato da Discovery Channel nel 2013.

Il personaggio dei Simpson Lance Murdock, stuntman temerario a bordo della sua motocicletta “Suiciclo”, è ispirato a Evel Knievel. La sua figura, in versione animata, doveva comparire anche nel film “Toy Story 4”, ma Robbie Knievel querelò la Disney per violazione del copyright.

Nel 2006 il rapper Kanye West realizzò un video musicale, “Touch The Sky”, ispirato al salto dello Snake River Canyon. Ma si dimenticò di chiedere il permesso al diretto interessato, il quale lo querelò per violazione dei diritti d’autore.

Infine, Travis Pastrana nel 2018 ha replicato i salti più iconici di Knievel, nello stesso Ceasar Palace dove Evel costruì la sua fama. I salti, ottenuti con una Indian con gli stessi colori della Harley Davidson originale, furono trasmessi in diretta TV su History Channel, nel corso dell’evento “Evel Live”.