Sono passati circa sette mesi da quella terribile sera del 26 gennaio 2020. La notizia della scomparsa di Kobe Bryant ha scosso e ferito profondamente il mondo della pallacanestro e non solo. Kobe non era un semplice giocatore di pallacanestro,era un’icona di temperanza, impegno e determinazione. Era la maglia che tutti i bambini volevano comprarsi. Simbolo della pallacanestro fondata sul duro lavoro e non sulla fama.
“Sono praticamente inarrestabile. Quando la partita si mette male, i miei compagni sanno a chi rivolgersi.“
Kobe Bryant: mamba forever
Kobe scopre il suo futuro quando a tre anni, sotto consiglio( o imposizione) di papà Joe, inizia a realizzare i primi canestri della sua vita. I fondamentali della pallacanestro vengono appresi durante il suo soggiorno in Italia. Kobe vive nella nostra nazione dai 6 ai 13 anni, spostandosi per la penisola. Da Reggio Calabria a Rieti, passando per Pistoia ed infine Reggio Emilia. Le basi della pallacanestro Kobe le apprende in Italia e i risultati hanno confermato quanto sia stato ottimo il lavoro dei coach delle giovanili sul futuro “black mamba”.
Kobe Bryat: la Nba e i Lakers
Nel 1996 il giovane Kobe si dichiara eleggibile al Draft Nba. Un passo forse troppo azzardato poichè non ancora diciottenne.A selezionarlo furono gli Hornets che però lo cedettero in uno scambio con i Lakers. Lakers che avevano selezionato un giovane centro chiamato Shaquille O’Neal di cui avrete sicuramente sentito parlare.
L’avventura con i Lakers inizia ufficialmente il 13 novembre 1996 contro i Minnesota Timberwolves. Le prime due stagioni non furono certamente memorabili. Bryant si dimostrò troppo acerbo per essere decisivo in alcuni momenti della partita. Non era un titolare e a soli 18 anni non poteva esserlo. Doveva intraprendere quel percorso di crescita per diventare il “mamba”.
Il suo ruolo di guardia permise al giovane numero 8 di avere una media punti di 7.5 nella prima stagione. Nella seconda stagione, i suoi numeri di pari passo con le sue prestazioni iniziarono a crescere. Divenne titolare e riuscì ad approdare ai play-off arredendosi nelle semifinali di conference contro gli Spurs. Venne comunque inserito nella squadra migliore della stagione.
I tre titoli consecutivi e la consacrazione
La carriera di Bryant cambiò drasticamente con l’arrivo del leggendario coach Phil Jackson sulla panchina gialloviola. I Lakers dopo anni di costruzione, erano pronti ad affermarsi come padroni della lega. Per compiere questo passo, bisognava vincere assolutamente il titolo.
Il titolo venne conquistato contro gli Indiana Pacers. Kobe diede il suo contributo con una media punti di 15.1 ai play-off. Per infortunio fu costretto a saltare due gare della finale ma recuperò per gara 6 dove vinse il suo primo anello. La stagione si concluse con la vittoria dei Lakers e l’inserimento di Bryant nella miglior squadra difensiva della stagione diventando il più giovane nella storia a riuscirci.
La stagione seguente, Kobe scalò le gerarchie della squadra diventando uomo di riferimento scavalcando Shaquille O’Neal. La stagione dei Lakers non fu però molto tranquilla a causa delle continue voci che vedevano una guerra interna tra O’Neal e lo stesso Kobe con Phil Jackson più propenso ad assecondare il centro. Non ci furono problemi ad approdare ai play-off dove tutte le incertezze sui Lakers crollarono davanti al cammino inarrestabile dei gialloviola.
La finale del 2001 vide lo scontro tra i Lakers di Kobe e Shaq e i Philadelphia 76ers dell’MVP di stagione Allen Iverson. Fu il secondo successo consecutivo per i Lakers che si ripeteranno per una terza volta nel 2002 ai danni dei New Jersy Nets. Una franchigia quella di Phil Jackson che dominò per tre stagioni consecutive realizzando il Three peat come i Chicago Bulls allenati sempre dallo stesso Jackson.
Kobe: uomo jordaniano
La carriera di Kobe, vedrà il numero 24 trionfare altre due volte. Nel 2009 e nel 2010; nel 2009 Bryant sconfiggerà la rivelazione di stagione ovvero gli Orlando Magic. Nel 2010 la vendetta perfetta. I Lakers sconfissero i rivali dei Boston Celtics in sette gare rivendicando la finale del 2008.
Durante questi anni, le prestazioni di Kobe crebbero in modo esponenziale. Diventato simbolo e capitano dei Lakers, Bryant sarà anche MVP delle finali e la sua costante voglia di migliorarsi, permetterà al numero 24 di fornire prestazioni di tipico stampo jordaniano. Un’onnipotenza cestistica quella dimostrata da Kobe Bryant che lo avvicinò alla perfezione rappresentata dal numero 23 ex Bulls.
Un confronto quello con Jordan nel quale Kobe non sfigura. Lo stesso numero 24 ha dichiarato di aver trovato la voglia di migliorarsi e il suo costante agonismo vedendo giocare Michael Jordan. Due giocatori simili per carattere, per vittorie, per mentalità. La mentalità dei campioni che non si fermano mai. Nemmeno dopo aver vinto cinque titoli in carriera, Kobe non si è mai fermato. Nonostante il declino della franchigia ha continuato ad essere Kobe. Un avversario che ti demolisce psicologicamente oltre che fisicamente, una spina nel fianco per tutta la partita. Un mamba nero che aspetta il momento giusto per dare il morso decisivo e abbatterti definitivamente. Un vincente, un uomo che vive per competere.
Il ritiro
La carriera del mamba in maglia gialloviola terminò il 13 aprile 2016. Kobe decise di lasciare il mondo della pallacanestro mettendo a referto 60 punti contro gli Utah Jazz. Un’ultima dimostrazione di grandezza ma allo stesso tempo di consapevolezza.
La consapevolezza di comprendere quando arriva il momento di lasciare, permettendo così di iniziare un nuovo capitolo. Kobe non ha avuto paura di ripartire da una pagina bianca, ha accettato il suo destino. Ha goduto di esso, ha trionfato, ha regnato e come ogni grande guerriero è uscito di scena consapevole di come le sue gesta verranno narrate per secoli e secoli.
“Quando ci siamo incontrati per la prima volta ero solo un ragazzino.Tutti avete contribuito a farmi diventare il giocatore e l’uomo che avete davanti oggi. Mi avete dato la fiducia necessaria per fare buon uso della mia rabbia. I vostri dubbi mi hanno dato la determinazione a dimostrarvi che vi sbagliavate. Siete stati testimoni della trasformazione delle mie paure nella mia forza. Sia che mi vediate come l’eroe o come il cattivo, sappiate che ci ho messo ogni emozione, ogni briciolo di passione, e tutto me stesso nell’essere un Laker. Quello che avete fatto per me è di gran lunga più grande di quello che ho fatto io per voi. Lo onorerò oggi e per tutto il resto della stagione. Il mio amore per questa città, per questa squadra e per ciascuno di voi non svanirà mai.”
Dear Basketball
Ha voluto raccontare le sue emozioni nel cortometraggio “Dear Basketball“. Una raccolta di lettere e dediche scritte dallo stesso Kobe durante il suo ultimo anno da professionista. Cinque minuti di lettere dove il numero 24 esprime un tributo alla pallacanestro che l’ha reso l’uomo che è stato. Una vera e propria dichiarazione d’amore verso una retina e una palla a spicchi. Un cortometraggio che nel 2018 ha conquistato l’Oscar come miglior cortometraggio di animazione.
“Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ma non posso amarti più con la stessa ossessione. Questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio.”
Oggi Kobe Bryant avrebbe compiuto 42 anni. Il nostro è stato un piccolo tributo nei confronti di un grande giocatore ma sopratutto di un grande uomo che ci ha lasciato troppo presto e troppo dolorosamente.
Tanti auguri mamba.