L’incidente che ci ha portato via Dean Berta Vinales assomiglia nella dinamica a quello che è costato la vita a Jason Dupasquier, al Mugello. E allo stesso modo, Hugo Millan ha perso la vita nella European Talent Cup. 14, 15 e 19 anni: queste erano le loro età, da più piccolo (Millan) al più grande (Dupasquier). E questo fa rabbia. Sono troppo giovani per un destino così infausto, pensano tutti, e in un certo senso hanno ragione. Ma bisogna capire che certe situazioni, per quanto siano dolorose, vanno accettate e basta. E non si può porvi rimedio.
Jason Dupasquier non ce l’ha fatta
Incidente Vinales: perché dobbiamo accettarlo?
Innanzitutto, dobbiamo accettarlo perché c’è stato. È un po’ banale, me ne rendo conto, ma è così. La parola che dobbiamo imparare a tal proposito è: fatalità. Gli incidenti che sono costati cari ai tre piccoli centauri sono frutto di situazioni imprevedibili, a cui oggi non è possibile porre rimedio. Quando si cade sulla pista, è molto probabile che si venga colpiti dalle altre moto. Immaginate di essere schiacciati da un peso di 100 Kg alle velocità di oltre 100 Km/h: sarebbe un miracolo uscirne indenni! Non c’è un modo di proteggere il pilota da tali situazioni: le protezioni sono al top, ma qui non bastano. Gli airbag proteggono efficacemente in caso di highside, ma se il pilota è investito da un’altra moto (o dalla propria) non c’è sistema che tenga. I produttori delle tute sono consapevoli di questo problema, ma al momento non hanno una soluzione in mano. Questa è fatalità. E dobbiamo accettarlo.
Un silenzio vale più di mille parole
Resta però la rabbia di vedere un teenager morire ingiustamente. E questa rabbia porta più di qualcuno a parlare quando bisognerebbe stare in silenzio. Sono tanti gli addetti ai lavori (anche piloti!) che invocano cambi di regolamento. Cambiare cosa? In tanti hanno invocato di ridurre il numero dei partenti nelle classi piccole, dalla 300 alla Moto3. Cosa cambia? Se passassimo da 40 piloti a 20, e questi venti girassero nello spazio di 3 decimi, saremmo punto e a capo. In attesa che arrivi la soluzione “miracolosa”, e io sono convinto che arriverà, ritorniamo al concetto di fatalità. Ripeto: dobbiamo accettarlo, anche se non vorremmo. Parlando di silenzi e di parole al vaglio, non posso non menzionare la condotta meschina dei TG. Questi signori (ma il discorso vale per la carta stampata e il web) non parlano mai di Superbike, salvo poi dedicargli la prima pagina quando ci scappa il morto. Uno sciacallaggio mediatico che mette imbarazzo e vergogna all’intera categoria. Ancora una volta, gli indici di ascolto (o la tiratura o i click, fate un po’ voi) hanno avuto più valore della vita umana.