I piloti aggressivi sta diventando sempre più un problema nella Moto3, e nelle classi entry level in generale. Gli ultimi, luttuosi incidenti sono la dimostrazione che il limite è stato superato. La FIM è intervenuta introducendo limitazioni all’età ed al numero di partecipanti. Tutti buoni propositi, ma la federazione dimostra di non aver centrato il punto. Sicuri che sia una questione di età? E se ci fosse qualcosa d’altro? Facciamo una piccola riflessione.
Moto3: piloti aggressivi perché sotto pressione?
Il legislatore pensa, a ragione, che i piloti aggressivi sia un problema, ma non si è soffermato sulle ragioni di tale condotta. Chiediamoci: perché i piccoli rider sono disposti a rischiare l’osso del collo – letteralmente – pur di superarsi a vicenda? Intervistato da Motorsport.com, lo psicologo dello sport Pep Font fornisce una spiegazione: “Gli atleti che competono in discipline che comportano rischio o pericolo lo hanno interiorizzato in modo tale da non esserne consapevoli“, ha esordito Font. “Se lo fossero, non sarebbero più cavalieri. Hanno molta più paura di non competere al loro livello o di non riuscire a realizzare ciò che si sono prefissati“. Font ha spiegato come i piccoli piloti siano sottoposti ad un’enorme stress psicologico: i propri genitori pagano cifre folli (anche 300 mila Euro!) per finanziare il loro sogno, ma se non portano il risultato a casa rischiano che la famiglia debba spendere altrettanto, con meno opzioni. Una pressione che li spinge a dare tanto. Forse troppo. “C’è una realtà inconfutabile“, ha proseguito Font, che nella sua attività segue piloti giovani come Raul Fernandez. “Se un padre sta pagando 140.000 euro per far correre suo figlio nella FIM-CEV Moto3, se il ragazzo farà bene forse l’anno successivo pagherà solo 50.000. Se non farà bene, invece, non solo dovrà pagare la stessa cifra, ma probabilmente lo farà anche per correre con un team meno competitivo“. Insomma: sei vinci sei un grande, se perdi, sei un peso. Un po’ troppo per dei ragazzini di 14 anni, non trovate?
Un circo troppo crudele
L’aspetto psicologico delle cose tende spesso ad essere sottovalutato. Gli esseri umani però sono esseri emotivi, e le loro emozioni spesso condizionano le loro azioni. A questo punto, bisogna chiedersi sei i teenager della Moto3 sono degli scavezzacollo in quanto tali, o se invece non vivono in un ambiente (nel senso sociologico del termine) in cui hanno un pungolo costante che li spinge a non fare prigionieri. Se è così, la FIM può imporre tutti i limiti e le sanzioni che vuole, ma non servirà a niente. Molto più logico è cambiare questo ambiente, rendendolo più salubre e meno pressante. Ad esempio, perché non s’introduce un montepremi ad ogni gara? Un sistema che permette ad ogni pilota di guadagnare una cifra in base al piazzamento? Questo aiuterebbe ad alleggerire il peso economico della famiglia, con il solo vincolo di portare la moto al traguardo. Una soluzione semplice ma efficace, che non comporta grandi esborsi essendo che in Gran Premi sono quasi sempre sponsorizzati. Ma che farebbero la differenza tra un mondiale di campioni in erba ed una giungla di adolescenti stressati, disporsi ad ammazzarsi pur di non provare sensi di colpa nei confronti di squadre e famiglie.
La FIM alza l’età minima della Moto3 (e non solo)
Immagine in evidenza di Red Bull Content Pool, per gentile concessione