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Auguri, Michael Schumacher!

Tanti, tanti auguri a Michael Schumacher. Il leggendario kaiser della formula uno oggi compie gli anni. Basta pronunciarne il nome per far sognare gli appassionati, specie della Ferrari.Con i suoi sette titoli mondiali, 91 vittorie e 77 giri veloci, il “Kaiser” come veniva soprannominato, è il pilota più grande della sua epoca. E pensare che in F1 ci è arrivato…per caso!

Il primo Schumacher

Infatti, la sua prima gara nel massimo campionato avvenne in circostanze alquanto fortuite. Dopo aver dominato nel karting (campione europeo nel 1987), e nella F3 tedesca nel 1990, Michael Schumacher divenne pilota junior della Mercedes, che lo schierava nel Mondiale Sport Prototipi. Passava le giornate a correre nelle gare di durata a bordo delle C9 e delle C11 progettate da Peter Sauber, sfiorando anche il podio a Le Mans nel 1991.

Nello stesso anno arrivò la grande occasione di esordire in F1. Eddie Jordan aveva bisogno di un sostituto per Bertrand Gachot, finito in carcere per aver aggredito un tassista a Londra. La Mercedes gli propose in prestito questo Schumacher, 22enne che viveva ad appena 100 Km di distanza dal circuito. Gli dissero che conosceva il tracciato (cosa non vera!) e che era veloce. Alla notizia, tutti storsero il naso, perché il giovane Michael era meno quotato rispetto ai più blasonati Karl Wendlinger e Heinz-Harald Frentzen. Ma lui ci mise un secondo a zittire tutti: settimo in prova, un fulmine al via in gara. Anche troppo, visto che bruciò la frizione!

Ma ormai, per dirla alla Giulio Cesare, il dado era tratto. Michael Schumacher era il pilota del momento, ed ad un manager furbo e attento come Flavio Briatore la cosa non sfuggì di certo. Il passaggio alla Benetton permise al prodigio di Kerpen di mostrare la sua classe. Nel 1992, Schumi conquistò il primo podio in Messico (alla sua ottava gara in carriera!), e la prima vittoria a Spa, ad un anno esatto dal suo debutto. Lì mostrò un’abilità eccezionale sul bagnato, paragonabile a quella di un certo Ayrton Senna. Quello stesso Senna che mostrò, involontariamente, il lato debole dello giovane Schumacher, la sua irruenza. Storico fu il cazziatone del brasiliano dopo il contatto a Magny Cours.

Quella fu il primo incontro tra due leggende, un antipasto di quella sfida che sarebbe stata il 1994. Il condizionale qui è d’obbligo, visto che la tragica scomparsa del “Magico” tolse questa possibilità. E fu così che Schumacher divenne il pretendente al titolo di quella stagione, grazie anche alle doti della controversa Benetton Ford B194. Solo alcuni inciampi (tipo le ben quattro squalifiche scontate durante l’anno) e la rinascita della Williams con Damon Hill resero il mondiale meno scontato. Con un finale thrilling ad Adelaide, con tanto di scontro diretto tra i due litiganti, Schumi conquistò il primo mondiale.

L’anno dopo, grazie al motore Renault, l’accoppiata Schumacher-Benetton fu inavvicinabile: 9 vittorie e undici podi furono il suo bottino. E si riproposero gli scontri con Damon Hill, a Silverstone e a Monza, dove i due arrivarono quasi alle mani. Di lì in poi, il Kaiser ci vide rosso, e non è un riferimento alla rabbia.

Leggenda rossa

Alla fine del 95 arrivò quella che potremmo definire la svolta della sua carriera, la firma con la Ferrari. La rossa non vinceva il mondiale dal 1979, e il tedesco era l’uomo giusto al momento giusto. Si portò dalla Benetton la sua squadra vincente, composta dall’ingegnere di pista Ross Brawn e dal progettista Rory Byrne. Il risultato fu la rinascita del Cavallino, a partire dal 1997. Schumi e la F310B erano fatti l’una per l’altra, e si dimostrarono più efficaci dell’accoppiata Jacques Villeneuve-Williams, in crisi soprattutto nelle strategie. Ma nell’ultima corsa di Jerez, l’irruenza prese il sopravvento, e Michael buttò alle ortiche il primo iride in rosso…buttando fuori Villeneuve alla Dry Sack! E come se non bastasse, si beccò anche una squalifica per guida pericolosa.

Ci riprovò nel 1998 ma gli avversari questa volta erano Mika Hakkinen ed una risorta McLaren. Fu il finnico a spuntarla, sempre all’ultima gara che allora era a Suzuka. Niente errori questa volta, ma un motore KO. Andò ancora peggio nel 1999, quando si schiantò alla curva di Stowe di Silverstone spaccandosi una gamba. Rientrò dopo tre mesi di stop, ma solo per aiutare il compagno di team Eddie Irvine a strappare il titolo ad Hakkinen. Ma senza esito, perché fu ancora Mika a trionfare.

E venne il nuovo millennio, il 2000. Stessa situazione dei due anni precedenti, stesso avversario da battere. Ma il copione doveva andare diversamente. Dopo una stagione infinita, Schumi e Hakkinen si ritrovarono di nuovo faccia a faccia nell’ultimo round di Suzuka. Ma stavolta niente errori, né rotture, solo una gran partenza ed una gara dominata dall’inizio alla fine. Era fatta: Schumi campione del mondo, primo titolo con la Ferrari. Le campane di Maranello tornarono a suonare.

E da lì, iniziò un’era di splendore per il binomio rosso-teutonico. I quattro mondiali successivi furono un filotto di campionati vinti o stravinti, a tal punto da far parlare i giornali della “noia rossa”.

Il 2001 la partita fu chiusa in anticipo, in Ungheria, nel 2002 addirittura in Francia, siglando il record dell’iride più precoce di sempre, 140 giorni. Il 2003 fu incespicato complice un feeling non perfetto con le gomme Bridgestone, ed un punteggio che annacquava il campionato per farlo durare più a lungo. Questi due elementi, uniti ad un giovane fenomeno di nome Kimi Raikkonen (che aveva preso il posto di Hakkinen) fecero sudare Schumi un pò di più in quel 2003. Ma l’iride ci scappò lo stesso, in una Suzuka da incubo in cui al ferrarista toccò partire dalla 14esima piazza. Il 2004, invece, fu “di riposo”: 13 vittorie su 18 gare, un solo ritiro (a Monaco, per gentile concessione di Juan Pablo Montoya) e 34 punti di vantaggio sul compagno di squadra Rubens Barrichello. La Ferrari quell’anno non ebbe avversari.

La magia, però, non poteva durare in eterno. Il 2005 fu un incubo per il Kaiser, complice la crisi delle Bridgestone che calzavano la Ferrari. Ne approfittarono Fernando Alonso e la Renault, i quali batterono Raikkonen e la McLaren nel derby Michelin. Lo spagnolo fu rivale dello stesso Schumi nel 2006, quando a calare furono le gomme francesi. La lotta mondiale si protrasse – di nuovo – fino alla gara finale, che in quella occasione fu in Brasile. E lì ritornò il vecchio Schumacher, quello degli errori inaspettati. Un contatto al via gli costò una foratura, una gran rimonta, e il titolo. E un addio pieno di lacrime: due mesi prima, a Monza, annunciò il suo ritiro dalle corse. Non durò.

Schumacher oggi

Infatti, la voglia di correre fu troppo forte. Non bastarono le incursioni in moto (con frattura), né il ruolo di tester Ferrari nello sviluppo della 430 Scuderia a tenerla a bada. Michael Schumacher doveva tornare, e così fu. Nel 2010 si ripresentò con la Mercedes, cosa che i tifosi del Cavallino vissero come un tradimento. Ma neanche i risultati furono felici: una pole, un podio e niente più. Ed il confronto perso con il convivente del box Nico Rosberg.

Di lì al secondo ritiro, datato 2012, fu un attimo. Il resto è storia di oggi, ivi compreso quello stramaledetto giorno di dicembre del 2014, sulle nevi di Meribel. Da lì è iniziata una nuova gara per Michael. Il premio in palio non è la coppa di miglior pilota al mondo, ma poter condurre una vita il più possibile normale. Una battaglia lunga e dall’esito incerto. Non sappiamo come sta andando, perché la famiglia tiene il massimo riserbo. Ci dobbiamo accontentare delle poche frasi sibilline che vengono dalle persone a lui più vicine, dalla moglie Corinna a quel Jean Todt che più di ogni altro lo volle in Ferrari negli anni d’oro.

Per il resto, non ci rimane che augurargli tutto il bene possibile. Alles gute zum geburstag, Michael Schumacher!

Dakar 2020: https://sport.periodicodaily.com/dakar-2020/