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Once Upon a Time speciale: Penske, Mercedes e Indianapolis

Bentornati a Once Upon a Time, nella sua puntata speciale dedicata agli aneddoti sulle corse made in USA. Oggi vi parliamo della vicenda più incredibile della storia centenaria della 500 miglia di Indianapolis, quella della Penske PC 23 a motore Mercedes 500I.

Perché è così speciale? Mai un solo motore, una sola macchina, hanno avuto un tale impatto nella sua categoria. Soprattutto, se si va a guardare ciò che ha portato questo motore a esistere: una serie di fortunate coincidenze, unite ad un’abile strategia da parte dei suoi inventori. Ed un legislatore che, pur armato di buone intenzioni, ha forse sottovalutato gli effetti dei suoi regolamenti. Ma andiamo per ordine.

Formule di equivalenza

Per comprendere meglio questa storia, è necessario fare una premessa. Fin dalle sue origini, nel 1911, la 500 miglia di Indianapolis aveva un regolamento tecnico che incoraggiava l’uso di motori diversi. Le prime macchine erano vetture stradali alleggerite, con motori elaborati. Per mantenerle competitive contro auto più specialistiche, la United States Auto Club, che scriveva le norme, aveva elaborato dei correttivi per rendere motori tanto diversi i più uguali possibili nelle performance. La USAC incoraggiava l’uso di motori di derivazione stradale: questo salvò la pista di Indianapolis dalla bancarotta durante la Grande Depressione del 1929.

Le formule di equivalenza della USAC permettevano di sperimentare i motori più strani. Nel 1952 la Cummins portò in pista un motore turbo diesel di 6 litri con cui segnarono la pole position. Nel 1968 i fratelli Andy e Vince Granatelli schierarono la “Silent Sam”, monoposto a turbina con cui Parnelli Jones dominò prima di ritirarsi per un problema tecnico. Di fronte a queste creature misteriose la USAC reagiva rimettendo mano ai correttivi, rendendo quei motori di fatto fuorilegge.

Tornando ai motori di derivazione stradale, la federazione fondata da Tony Hulman, capostipite della famiglia proprietaria del circuito fino all’anno scorso, continuava ad incoraggiarli… a patto però che fossero made in USA! Infatti, tentativi come la Porsche, che nel 1980 annunciò il suo debutto con un 6 cilindri boxer derivato dalla 930 furono soffocati nella culla, temendo che potessero distruggere la concorrenza. I team manager di primo livello facevano spesso pressione affinché non dovessero rimettere mano al portafogli, per investire su nuovi propulsori.

Negli anni 80 l’uso di motori con monoblocchi derivati dalla serie era generalizzato. Tuttavia, la loro competitività nei confronti dei motori puramente da corsa era spesso insufficiente, specie da quando la Ford introdusse il Cosworth DFX. Versione turbocompressa del leggendario DFV, il DFX divenne un “must-have” per tutti coloro che volevano vedere il proprio volto scolpito sul trofeo Borg-Warner. Non mancarono però gli eroici tentativi di far volare un monoblocco stradale, dallo Chevrolet V6 turbo elaborato da AJ Foyt, al programma ufficiale Buick, attivo dal 1984 al 1993.

Dal punto di vista prettamente tecnico, le formule di equivalenza, aggiornate al 1979, si componevano quanto segue:

  • motori con distribuzione ad albero a camme in testa: cilindrata massima 2,65 litri per i motori sovralimentati, 4 litri per i motori aspirati
  • motori con distribuzione ad aste e bilanceri: cilindrata massima 3,43 litri per i motori sovralimentati, 5,8 litri per i motori aspirati

A queste linee di base, va aggiunto un ulteriore elemento. Le pressioni di sovralimentazione variavano a seconda del numero dei cilindri. Per i motori a 4 cilindri, ad esempio, la pressione massima consentita era di 1 bar. I motori 6 cilindri potevano arrivare a 0,8 bar, gli 8 cilindri a 0,6. Quando Porsche annunciò la sua intenzione di gareggiare, la USAC cambiò la pressione massima per i motori 6 cilindri, pareggiandola con i V8. Si giustificarono dicendo che il motore incriminato era un bialbero, e non ad aste e bilanceri, in realtà era una mossa politica: dovevano eliminare un concorrente scomodo!

Nel 1992 le norme furono ulteriormente modificate. Per i motori con alberi a camme in testa, la pressione del turbo è di 1,52 bar; per i motori ad aste e bilanceri è di 1,86 bar.

Un ulteriore dettaglio da sottolineare è che i motori derivati dalla serie che correvano ad Indianapolis…non erano esattamente di serie. Facciamo un esempio: nel 1962, la Ford produsse un monoblocco di origine Fairlane. Era uguale all’originale ma fatto in alluminio. Quel blocco era destinato alla Lotus, che vi realizzò il motore per la sua prima uscita a Indianapolis. Con quel motore la leggenda della F1 Jim Clark finì secondo, il miglior risultato di sempre per un motore dalle origini “stock”.

Era pratica comune prendere un monoblocco di produzione, modificarlo o addirittura riprogettarlo, per poi schierarlo in pista. Questo tradiva lo spirito originale del regolamento, ma la USAC chiudeva sempre un occhio, puntando sul fatto che il disegno di quei pezzi, di fatto “racing”, erano identici al componente di partenza.

Tenete a mente quest’ultimo particolare, perché è da qui che nasce il progetto Penske Mercedes.

Un progetto ambizioso

Con i suoi 18 successi, Roger Penske è il team owner più vincentealla 500 miglia di Indianapolis. Dal 1977 si produceva da solo i telai, grazie alla fabbrica che usava per il programma F1 in Inghilterra. La direzione tecnica era di Nigel Bennett, ingegnere che all’epoca era considerato un genio. Roger era inoltre proprietario al 25% della Ilmor, fabbrica di motori fondata da altri due ingegneri: lo svizzero Mario Ilien e l’inglese Paul Morgan. Ilmor iniziò a produrre motori per Penske e per la IndyCar a partire dal 1988, quando entrò in scena il celeberrimo Chevrolet Indy V8 (General Motors era a sua volta azionista della engineering). Per tutta la fine degli anni 80, il motore del cravattino era una scelta obbligata se volevi vincere.

Fin dal 1983, Roger Penske stava girando attorno all’idea di montare un motore ad aste e bilanceri, intuendone il grande potenziale. Non mise in pratica tale idea, ma anticipò di un anno quello che sarebbe stato il programma Buick. Ci ritornò su nel 1992, anno in cui il suo team era reduce da una disfatta clamorosa a Indianapolis. Ma fu nell’estate del 1993 che si cominciò a mettere sul tavolo una bozza del super motore. In un briefing post gara, Penske chiese a Mario Ilien se era fattibile la produzione di un motore di quel tipo, che avesse gli stessi ingombri del motore standard quadrialbero. Il progettista svizzero rispose di si, ed ipotizzò che potesse erogare una potenza di 940 CV. Il Capitano diede il via libera al progetto.

Il fatto che il nuovo motore avesse le stesse dimensioni di quello standard era fondamentale. I motori derivati tendevano ad essere più ingombranti, richiedendo la riprogettazione del telaio. Considerando i costi elevati per sviluppare un motore solo per una gara, se poi avesse richiesto un cambio di telaio sarebbe stato un salasso. Probabilmente, tutta questa storia non sarebbe mai accaduta.

Nel frattempo, Chevrolet litigò con Ilmor a fine 1993, e cedette le sue quote. Alla casa americana non piaceva il fatto che la fabbrica inglese collaborasse con la Mercedes per il programma motori in F1. Roger Penske informò prontamente i tedeschi del nuovo progetto Indy, e loro non ci pensarono due volte a finanziare l’operazione.

Da ora, il progetto di conquista della 500 miglia di Indianapolis aveva nome e cognome: Penske Mercedes.

Top secret

Racconta Mario Ilien che lo sviluppo del nuovo super motore iniziò relativamente tardi, a gennaio 1994. La fabbrica lavorava di notte per non destare sospetti. Infatti, una delle caratteristiche del nuovo programma Penske Mercedes era la sua assoluta segretezza.

Per farvi un’idea di quanto questo segreto fosse gelosamente custodito, gli fu dato il banale nome di 265E. Il motore che il team usava per la stagione IndyCar si chiamava 265D, nonostante fosse di architettura completamente diversa. Il nome era un depistaggio per distrarre gli avversari.

Le sessioni di test si svolsero tra il Michigan International Speedway, ed il miglio di Nazareth. I test erano rigorosamente a porte chiuse, ed all’ingresso la vigilanza stava attenta a non far entrare nessuno che potesse assomigliare ad un fotografo o a un cronista. Era un progetto talmente segreto che molti dipendenti del Team Penske non ne erano a conoscenza. E a quelli che sapevano veniva intimato di tenere la bocca chiusa. Se non volevano vedersi dimezzato lo stipendio!

Tra febbraio e aprile, il Team Penske percorse un’infinità di giri tra Brooklyn e Nazareth, compiendo soprattutto test di durata. In Michigan Al Unser Jr e Paul Tracy fecero anche un long run di 470 miglia, con medie vicine a quelle che avrebbero affrontato a Indianapolis. Era ormai tutto pronto per i fuochi d’artificio del Memorial Day.

Una piccola nota curiosa: Emerson Fittipaldi non prese parte al lavoro di sviluppo. Strano. Comunque, il paulista era confermato nella formazione a tre punte che doveva conquistare il catino dell’Indiana.

Penske e Mercedes alla prova

Alla presentazione ufficiale del programma Penske Mercedes, il paddock di Indianapolis strabuzzò gli occhi. Non potevano credere che un motore ad aste e bilanceri, che non aveva neanche un bullone derivato dalla serie, potesse venire alla luce. Tra i concorrenti serpeggiava la paura, che subito si tramutò in malumore. Nigel Mansell, campione in carica della Indycar, lamentava spesso che quel propulsore avesse troppo vantaggio. Un sospetto condiviso da molti nel paddock, tuttavia la USAC ribadì che il propulsore andava bene così com’era. Si preferì non intervenire, per il momento.

Il 7 maggio la pioggia annullò le prime sessioni di prove libere della 500 miglia di Indianapolis. Il giorno dopo, Emerson Fittipaldi scese in pista con la morte nel cuore (il suo grande amico Ayrton Senna era morto a Imola la settimana prima), seguito da Paul Tracy. Il canadese guidò la macchina di Al Unser Jr, che era assente. Little Al era rimasto in Michigan per un’ulteriore test segreto. In quel frangente il pilota di Albuquerque svolse un long run di 520 miglia. Il test serviva per vedere se il 265E (o 500I, questa era la nomenclatura originale) fosse in grado di reggere l’intera distanza. Obiettivo centrato.

Nonostante il timore degli avversari, le giornate di prove libere passarono senza che le Penske Mercedes spadroneggiassero come si pensava. Fittipaldi, Tracy ed il rientrante Unser Jr furono veloci ma non in maniera devastante, e non sempre primeggiavano nella classifica dei tempi. In molti sospettavano che si stessero nascondendo (la parola più pronunciata nel paddock era “sandbagging”, insabbiamento), anche per evitare penalizzazioni da parte della USAC. In realtà, come confessò anni dopo il direttore tecnico Nigel Beresford, la PC 23 aveva problemi di assetto. Il 500I era potentissimo, a tal punto da poter superare le 250 mph (402 Km/h) in rettilineo. Tuttavia l’enorme coppia ai bassi regimi, tipica dei motori ad aste e bilanceri, creava un forte sottosterzo che rallentava notevolmente la macchina in curva. I piloti dovettero cambiare lo stile di guida, e non si trovò mai una quadra con il bilanciamento del telaio.

A complicare ulteriormente le cose, il 13 maggio Paul Tracy andò violentemente a muro, finendo dentro un’ambulanza. Passò tutto il resto della giornata al Methodist Hospital, per accertamenti. Il botto di fatto compromise il resto dell’evento per il canadese, che non fu mai protagonista.

E venne il giorno della qualifica. Sotto un cielo grigio che minacciava pioggia, Al Unser Jr mostrò in parte il vero potenziale del 500I. Con una media di 228.011 mph (366,948 Km/h) il vincitore dell’edizione 1992 segnò una pole position che mandò il pubblico in visibilio. Fittipaldi aveva però un potenziale maggiore, e poteva battere il compagno di team. Tuttavia, l’arrivo della pioggia lo costrinse ad abortire il tentativo, rimandandolo al giorno dopo. Nonostante un sole che spaccava le pietre, Emmo soffrì una pista poco gommata, e non avvicinò il tempo di Unser. Era comunque in prima fila.

Paul Tracy si qualificò in 16esma posizione, ben distante dai compagni di team. Il pilota di Scarborough risentiva ancora del botto subito durante le prove.

Penske e Mercedes conquistano Indianapolis

Il 24 maggio, venne il giorno della gara.

La vigilia fu carica di tensione. Il pubblico era distratto dalle celebrazioni per Mario Andretti, alla sua ultima gara ad Indy. Nelle stanze dei bottoni, invece, saliva la rabbia per una competizione che si prospettava a senso unico. Si racconta che il presidente dello Speedway, Tony George, fosse furioso, e che facesse pressione alla USAC per penalizzare le Penske Mercedes. Roger Penske era preoccupato di questo, a tal punto da controllare le valvole pop off ogni due per tre, per verificare che non avessero abbassato la pressione di sovralimentazione!

Tra l’altro, sulla griglia comparvero misteriosamente altre due Penske. Si trattavano di due Pc 22, il modello dell’anno prima, con il motore Ilmor 265D. Le vetture furono affidate a Bobby Rahal ed a Mike Groff, entrambi del team che portava il nome del tre volte iridato. Secondo molti, la mossa di Penske fungeva da autotutela, per tenere buono Tony George (che desiderava che Rahal facesse la gara) ed evitare ritorsioni per mezzo della USAC. In realtà, come racconta Nigel Beresford, era semplicemente una mossa per aiutare l’amico Carl Hogan, la cui struttura era in difficoltà. Rahal e Groff, infatti, erano equipaggiati dell’esordiente motore Honda, troppo poco potente per dare garanzie. Rahal rischiava seriamente di non qualificarsi, per la seconda volta di fila. Grazie al “salvagente” Penske, Bobby concluse la 500 miglia 1994 in terza posizione.

Ma torniamo a noi. Alla bandiera verde, Fittipaldi e Unser bruciarono la concorrenza, iniziando a lottare tra di loro. Paul Tracy non fu mai della partita, e concluse la gara dopo 92 giri per un problema al cambio. Verso la metà, Fittipaldi mostrò un’evidente superiorità rispetto al compagno, complice un assetto migliore. Unser fece stallare il motore in uno dei pit stop, facilitando la vita ad Emmo.

Nelle battute finali Fittipladi doppiò Unser, ma subito dopo raccolse un detrito che ostruì il radiatore. Little Al ne approfittò per sdoppiarsi. Di fronte alle temperature che salivano pericolosamente, Emerson si trovò di fronte ad un dilemma: se Unser fosse rimasto a pieni giri, all’inevitabile sosta sarebbe balzato al comando. Se, invece, fosse doppiato, il problema non si sarebbe posto. A venti tornate dalla conclusione, Fittipaldi si affrettò a doppiare Unser, ma prese male le misure e finì a muro. La gara finì nelle mani del figlio d’arte, che conquistò cosi lo “Greatest Spectacle in racing” per la seconda volta in carriera.

In gara la Penske Mercedes annientò la concorrenza. Per farvi un’idea della supremazia del binomio anglo-americano-tedesco, Jacques Villeneuve, finito secondo, fu l’unico a finire la corsa a pieni giri!

Classifica di gara: https://www.racing-reference.info/race/1994_Indianapolis_500/R

Rivedi qui l’intera gara.

Una specie da estinguere

Subito dopo la 500 miglia di Indianapolis, Roger Penske mise in atto il suo piano. Iniziò a fare pressione sulla CART, la federazione che organizzava la Indycar, affinché venisse cambiato il regolamento. Le agevolazioni sulla perssione del turbo valevano solo per Indy, mentre il Capitano vovela estenderle anche alle altre gare. Ma non ci riuscì. Anzi.

La USAC stabilì che, a partire dal prossimo anno, le pressioni per i motori ad aste e bilanceri fossero ridotte a 1,71 bar. Facendo dei calcoli, la Ilmor stimò la perdita di potenza in 60 CV, non pochi ma non sufficienti per perdere il vantaggio. Roger Penske diede quindi il via libera alle forniture per i clienti. La Ilmor preparò la produzione di 30 unità. Ma la pacchia durò poco.

Infatti, con un altro colpo di spugna, la USAC diede la mazzata definitiva al progetto Penske Mercedes. La pressione dei turbo fu ulteriormente abbassata a 1,62 bar, portando la perdita di potenza a più di 100 CV. Considerati gli alti costi di sviluppo, Penske non ritenne conveniente proseguire con quel motore, e decise di pensionarlo. Con grande disappunto dello stesso Penske, di Mercedes, di Ilmor, e dei team clienti che si stavano preparando ad acquistarlo. Rick Galles e Jim Hall avevano già prenotato le loro unità.

Con il passaggio della Indianapolis 500 dalla CART alla IRL, le formule di equivalenza vennero abolite definitivamente. Ciò pose la pietra tombale sul 500I, e su progetti ad esso simili.

Penske Mercedes: qualche dettaglio tecnico

Image By Morio – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25196351

A prescindere che fosse davvero legale o no, il Mercedes 500I rappresenta un vero capolavoro d’ingegneria. Questo V8 turbo da 3,43 litri stato una bella sfida per Mario Ilien, progettista di questa incredibile unità. Rispettare il diktat di Roger Penske, che non voleva modificare il telaio PC 23 non era affatto facile: un motore di questo tipo, con pistoni e valvole più grandi, sarebbe stato inevitabilmente più lungo e largo. Invece, Ilien fece una magia ingegneristica, replicando le stesse misure del 265D a quadrialbero. Solo l’altezza era diversa: per mantenere la curva di coppia più alta possibile, Ilien dovette aumentare l’altezza dei cornetti di aspirazione. Non fu comunque un grosso problema: bastò rialzare il cofano della PC 23 per rimettere tutto a posto.

Parlando di coppia, i motori ad aste bilanceri per loro natura hanno tanti Nm a disposizione a bassi regimi, il ché si sposò particolarmente bene con la nuova configurazione del tracciato. Nel 1993 la sezione in asfalto all’interno delle curve venne rimossa, per rallentare le vetture. Uscire bene da quelle curve divenne fondamentale per ottenere velocità. Al resto ci pensava la potenza.

Ed a proposito di potenza, quanta ne aveva il 500I? ufficialmente, erogava 900 CV. Ma in realtà ne erano molti di più: la Ilmor confessò anni più tardi che ne aveva più di 1000!

Ulteriori dettagli tecnici li trovate a questo link.

Grazie per aver seguito questa puntata speciale della nostra rubrica. Vi ricordiamo che torniamo il lunedì, con il review della stagione Indycar del 1994. Per il prossimo episodio speciale, l’appuntamento è tra due venerdì. Thanks for watching…and see you next time!