Diego Milito: un’icona, un simbolo, un motivo di vanto, uno di quei giocatori il cui nome resterà per sempre indelebile nelle menti dei tifosi interisti. Un calciatore della classe operaia, tanta gavetta e tanto sudore, e poi eccola là la grande occasione chiamata Inter.
E il ‘Principe’ quella chance non l’ha sprecata, anzi lì a San Siro ha mostrato la sua fame di gol, la sua intelligenza calcistica, le stimmate del campionissimo che da quelle parti appartenevano a mani basse a Ronaldo.
Se il brasiliano si è fermato ad una Coppa Uefa nel ’98, l’argentino ha fatto di più, altrimenti non saremmo qui a ricordare le sue gesta.
Dobbiamo per forza di cose fare un salto temporale lungo dieci anni, con capolinea la finale di Champions League tra Inter e Bayern Monaco.
Lì Diego Milito obliterò il biglietto per il viaggio dell’apoteosi del ‘bauscismo’ interista. Una doppietta che portò il tifo di fede nerazzurra sul tetto d’Europa quarantacinque anni dopo l’ultima volta.
E quel giorno, come direbbe un celebre collega, il ‘Principe diventa Re nella notte di Madrid’. Ma c’è di più, perché il grande attaccante ammirato in quell’annata non è stato solo decisivo nella serata più importante.
In precedenza i suoi gol avevano già consegnato all’Inter la Coppa Italia e il Campionato. D’altronde quella non sarà mai ricordata come la stagione 2009/2010, ma come ‘quella del Triplete’.
A 10 anni dal trionfo di Madrid Diego Milito ha scritto una lettera ai ‘suoi’ tifosi nerazzurri, ripercorrendo i momenti salienti della sua carriera e soprattutto quella memorabile cavalcata, conclusasi all’alba del 23 maggio in un San Siro gremito e adornato da soli vessilli nerazzurri:
“La mattina dopo la finale, al ritorno da Madrid, San Siro è stato il posto più magico al mondo. C’eravamo solo noi, il popolo interista. Ero stravolto dalla felicità”.
Ecco qui parte della lettera con cui Diego Milito ricorda i momenti trascorsi all’Inter.
Vi avevo promesso Madrid, faccio ancora un paio di deviazioni prima di arrivare al Bernabeu. La prima è Kiev, semplicemente perché io il gol di Sneijder l’ho dovuto rivedere in TV. Ricordo quei momenti come se stessi riguardando un film: non volevo che la palla andasse oltre la linea di fondo, allora sono andato a recuperarla e mi sono reso conto di non avere angolo.
Ho pensato che l’unica cosa che avrei potuto fare era calciare fortissimo addosso al portiere, poi qualcosa sarebbe successo. Dopo aver tirato, sono caduto per terra. Il tempo di rimettermi in sesto e ho visto Sneijder che esultava come un pazzo: non mi ero reso conto che avesse segnato!
Sì, ho molta memoria di quei momenti, sono istanti che mi piace chiamare specialissimi. E infatti ricordo bene l’orologio del Camp Nou: sembrava di sale. L’ho guardato dopo che in campo era già trascorsa una vita e segnava 15’: interminabile, ma che coraggio quella sera da parte di tutti!
Mi porto dentro anche il clima pesantissimo sul treno Firenze-Milano, che ci riportava a casa dopo un 2-2 mortifero.Ma Pupi ci trasmetteva ottimismo anche quel giorno. E ha avuto ragione lui, anche grazie a quella serata incredibile… della pizza a casa mia mentre guardiamo Roma-Sampdoria. La sapete già, questa storia, ma resta un passaggio divertente di quella stagione eccezionale: Roma in vantaggio, noi tutti tristi. Arrivano le pizze, mia moglie mi mette in braccio Augustina, mia figlia piccola, e Pazzini pareggia. Da quel momento, non ho mollato Augustina nemmeno per un secondo, e la Samp ha vinto!
Vincere la Champions League era il mio sogno, quello di tutti. Come i tifosi del Racing avevano aspettato 35 anni, così quelli dell’Inter attendevano da 45. Non è stata una vigilia diversa dalle altre, posso dire che ero tranquillo e concentrato, sapevo sarebbe stata dura ma eravamo convinti e decisi.
Il rituale era il solito, con il mate in camera di Walter Samuel. Quella sera, per rilassarci ma allo stesso tempo motivarci, noi argentini abbiamo guardato “Iluminados por el fuego”, un film sui nostri connazionali eroi nella Guerra de las Malvinas. Brividi. Poi tutti a dormire.
La palla di Julio era lunga, l’ho scrutata, sono andato in contrasto con Demichelis, che era enorme. Anche qui, rivedo tutto, fotogramma per fotogramma. C’era Wesley pronto per il passaggio: sapevo che con lui la palla arrivava sempre. Così sono partito dritto, profondo. Ho fatto un bel controllo, ho visto arrivare Badstuber alla mia destra. Lì ho fatto una finta, noi la chiamiamo amague, e dopo un attimo correvo a esultare.
Per il secondo gol bisogna riavvolgere il nastro e tornare al 2001: Racing-Lanus 2-0, penultima giornata dell’Apertura. Erano 9 anni che pensavo a quell’azione: al Cilindro de Avellaneda punto il difensore, finta a uncino, rientro ma con la palla che mi rimane sul destro. Tiro quasi di esterno, traversa, Chatruc segna sulla ribattuta. A Madrid la mia finta su Van Buyten è stata identica a quella di quel giorno: sono stato solo più bravo a riuscire a tenere la palla alla distanza giusta per aprire il piatto sul secondo palo. In quel momento ho abbracciato idealmente i tifosi nerazzurri di tutto il mondo.
Ero felice, lo sono tutt’ora, se penso a quello che abbiamo fatto, tutti insieme. Al segno che abbiamo lasciato nella storia di questo club, la nostra Inter.
E ve lo dico: mai, mai nella mia vita avevo visto uno stadio pieno di gente all’alba, alle sei del mattino. Già il ritorno da Barcellona era stato fantastico, con l’accoglienza all’aeroporto.
Ma quella mattina San Siro è stato il posto più magico del mondo: c’eravamo solo noi, c’era il popolo interista. Io ero stravolto. Ma ero stravolto di felicità”.
Diego Milito
‘Only time can judge time and make it timeless’
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