Messi ha chiuso con il Barcellona. Lionel a partire da oggi con il suo rientro agli allenamenti, non è più uno dei simboli della Catalunya e del Barcelonismo. Questo è il verdetto semplice, per certi versi ingenuo, ma spietato, a conclusione della telenovela spagnola di questo calciomercato.
Lo scorso Venerdì è stata una giornata convulsa che si è conclusa con l’intervista della Pulce. Un video, in cui Messi ha deciso di spiegare il suo punto di vista, la sua posizione riguardo ad una situazione complessa, in modo unilaterale senza un reale confronto con i giornalisti ed esperti del settore. Una scelta, ed in quanto tale, tanto condivisibile quanto criticabile.
Ma sono le risposte a quelle domande ad avermi fatto ricredere su quello che Messi è stato per Barcellona. Forse avevo frainteso la sua leadership tecnica con quella morale. Forse mi ero confuso. Avevo considerato Lionel una bandiera, quando invece era semplicemente massima espressione di un certo tipo di calcio, ma non di una cultura e tanto meno di quei valori e ideali calcistici, che naturalmente si legano al portare la fascia di capitano del Barcellona.
Il valore di una bandiera…
La bellezza di una bandiera non sta solo nei suoi colori o nella sua posizione tanto vicina al cielo. Risiede nella sua capacità di librarsi in ogni condizione climatica, tanto durante una tempesta quanto in una giornata di sole. Di rappresentare in modo tanto iconico quanto simbolico un ideale, un valore. Una bandiera riesce a creare comunità, identificazione, appartenenza.
Nel calcio penso a Francesco Totti e Alessandro Del Piero in Italia, a Paul Scholes e Steven Gerrard in Inghilterra, a Oliver Kahn in Germania, forse ce ne sono altri, ma non poi così tanti. Uomini consapevoli di rappresentare una città, un credo, un pensiero. Per questo responsabili prima di tutto nei confronti del club e della tifoseria, ed a volte di intere città.
Questi giocatori, questi capitani, questi uomini hanno affrontato momenti bui e momenti di successo, trionfo e rovina senza mai abbandonare il loro popolo, consapevoli di essere parte di qualcosa di più importante che una semplice squadra di calcio.
Proprio per questo Lionel Messi, nonostante il suo ingaggio faraonico, nonostante la sua enorme influenza nelle decisioni di mercato, appena la società e la squadra hanno preso altre direzioni, non ha saputo mettere da parte il suo ego. Si è sentito tradito come se lui fosse il Barcellona, quando invece il Barça si è rivelato essere qualcosa di più grande di lui.
Le sconfitte, i progetti e il club…
Quando nell’intervista Leo Messi, parla delle pesanti sconfitte con il Bayern, il Liverpool e la Roma, come eventi che hanno influenzato la sua decisione, ne parla come se lui non avesse fatto parte di quella squadra e di quei progetti. Eppure lui ne era il capitano, era parte integrante di quelle idee di gioco e soprattutto elemento fondamentale di qualsiasi piano tattico. E’ venuto a mancare anche lui in quelle occasioni, ma questo non è il messaggio che passa, lui non sembra essere in discussione.
Lui vuole competere, vuole vincere. Ragionevole in uno sport professionistico, ma se sei il capitano del Barcellona devi anche saper lottare e accettare la sconfitte, perchè il Barcellona rappresenta la Catalunya una delle regioni che ormai da anni combatte e crede nella propria indipendenza. Così, la Pulce sembra quasi non rendersi conto di quello che il Barcellona e il popolo catalano hanno dato a lui.
Proprio come ha detto Luis Enrique, commissario tecnico della Spagna e simbolo del Barcelonismo più autentico “Sarebbe stato bello se ci fosse stata reciproca gratitudine tra le due parti […] ma Il club viene prima delle persone“. Non è stato così, si sarebbe potuto chiudere in modo sensato, come successo al suo grande antagonista sportivo Cristiano Ronaldo con il Real Madrid, pochi anni fa.
Lionel si è totalmente scordato del motto del Barcellona “Mas que un club“, più di una semplice squadra.
La scelta di Messi…
Messi ha scelto di non essere una bandiera, ha scelto sé stesso. Nonostante dichiari di non aver voluto andare per vie legali, dato che non avrebbe mai potuto fare causa al club che ama. Questa sembra l’ennesima deresponsabilizzazione di fronte al presunto caos societario e ad un contratto consapevolmente firmato.
Sono quei 700 milioni, che lui come i suoi legali conoscevano bene, ad impedirgli di volare oltre la manica, direzione Manchester City. Ecco la dura e cruda verità alla quale Lionel non può scappare, nonostante le sue giustificazioni. Non c’è niente di romantico, in questa scelta, sembra esserci solo l’interesse. Allo stesso modo, c’è un certo grado di irresponsabilità nei confronti del club e dei tifosi. Nelle sue dichiarazioni, sembra esserci solo egoismo, senza pensare alla stagione che sta per partire.
Avevo, e non credo di essere l’unico, idealizzato la relazione tra Messi e Barcellona. La Pulce, a livello tecnico non ha eguali, in campo rappresenta il prototipo del calciatore blaugrana, tecnico ed immensamente creativo. Ma allo stesso tempo e più che mai dopo questa vicenda, la sua personalità non rappresenta il vero spirito del Barcelonismo, carismatico e visionario come Johan Cruijff o attaccato in modo spassionato ai culés e alla sua città come Carles Puyol.
Uno spirito che pone l’amore per il Barcellona, sopra ad ogni cosa, uno spirito che forse non è mai realmente appartenuto a Lionel Messi.